Si applica l’art. 316-bis del codice penale e il reato rientra tra quelli che possono divenire presupposto per la responsabilità 231

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Il decreto “Rilancio” prevede tra le altre misure anche dei contributi a fondo perduto per alcune imprese e alcuni lavoratori autonomi. I presupposti, la quantificazione e le modalità di erogazione di tale contributo sono disciplinati all’art. 25 del DL 34/2020.

Se ciò è noto, meno conosciuti sono i rischi anche penali che possono derivare dall’ottenimento del benificio nel caso di soggetti a cui questo non spetti di diritto. Dei rischi connessi alle autocertificazioni – anche relative alla possibilità di usufruire di misure di sostegno – si è già detto in relazione al DL 23/2020 (si veda “Autocertificazioni COVID con rischi penali” dell’11 aprile 2020): si trattava della possibile integrazione di reati di falso, di truffa e di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Nel caso dei nuovi contributi a fondo perduto si trova, però, un preciso riferimento ad un illecito penale, dal momento che il penultimo comma del citato art. 25 precisa che “nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale”.

La condotta presa in considerazione da tale norma consiste nell’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero nell’omissione di informazioni dovute, a cui consegue la percezione indebita di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici. La pena principale, prevista dal comma 1, è quella della reclusione da sei mesi a tre anni.

Tuttavia, quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a 3.999,96 euro si applica soltanto la sanzione amministrativa da 5.164 a 25.822 euro; sanzione che non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.

A completamento dell’apparato sanzionatorio va, altresì, considerato che il reato in questione rientra anche tra quelli che possono divenire presupposto per la responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dell’art. 24 del DLgs. 231/2001. Pertanto non si può escludere il rischio di una ripercussione sulla società, laddove venisse ottenuto un contributo nell’interesse o a vantaggio della stessa, utilizzando dichiarazioni non veritiere.

Va evidenziato anche che lo stesso art. 25 del DL “Rilancio”, nell’attribuire la gestione delle richieste di contributi e la conseguente attività di controllo dei dati dichiarati all’Agenzia delle Entrate, prevede l’applicazione degli artt. 31 e seguenti del DPR 600/1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Contestualmente, qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, è previsto che l’Agenzia delle Entrate recuperi il dovuto, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’art. 13 comma 5 del DLgs. 471/1997 (sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti inesistenti) e gli interessi dovuti ai sensi dell’art. 20 del DPR 602/1973.

La non spettanza potrà derivare anche dal mancato superamento della verifica antimafia che viene effettuata mediante autocertificazione, secondo quanto stabilito dalle norme richiamate nel comma 9 dell’art. 25 in esame. Si noti, ancora, che proprio in relazione a tale autocertificazione la norma in esame prevede un’autonoma sanzione penale della reclusione da due a sei anni qualora dalla verifica effettuata risulti a carico di taluno dei soggetti indicati la sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto derivanti dall’applicazione di una misura di prevenzione (art. 67 del DLgs. 159/2011), nonché di sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. In queste ipotesi, laddove il contributo fosse stato effettivamente erogato, sarà applicabile anche la confisca ai sensi dell’art. 322-ter c.p.

Tutto ciò premesso, è importante ricordare che ogni sanzione di diritto penale necessita di un accertamento processuale rigoroso, che include anche la prova dell’elemento soggettivo del reato.
Per quanto riguarda la fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui al richiamato art. 316-ter c.p., tale elemento va individuato nel dolo generico: occorre cioè che l’agente realizzi volontariamente la condotta illecita (cioè, la presentazione di una dichiarazione non veritiera, ad esempio omettendo volutamente una informazione rilevante), essendo consapevole della falsità o comunque dell’incompletezza di quanto affermato e della rilevanza della stessa rispetto alla procedura di erogazione. Consapevolezza che mal si concilia con la complessità della norma e con l’incertezza delle effettiva modalità applicative della stessa.

Tra l’altro, proprio la precisazione contenuta all’art. 25, che collega espressamente la percezione di un contributo non spettante all’art. 316-ter c.p., potrebbe evitare il rischio che la medesima condotta possa essere qualificata come artificio o raggiro rilevante ai fini del più grave reato di truffa per l’ottenimento di erogazioni pubbliche, previsto dall’art. 640-bis c.p.