Nella nozione di atti fraudolenti rientra qualsiasi atto idoneo a rappresentare ai terzi una realtà non corrispondente al vero

Di Maria Francesca ARTUSI

Sono numerose le condotte che possono integrare il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, così come disciplinato dall’art. 11 del DLgs. 74/2000, dal momento che nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario.

La giurisprudenza, negli anni, ha identificato come possibili modalità di realizzazione per questo reato la messa in atto, da parte degli amministratori, di operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate (Cass. n. 19595/2011), la costituzione di un fondo patrimoniale (Cass. nn. 9154/2016 e 47827/2017), la vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di sale and lease back (Cass. n. 14720/2008). Nella medesima linea interpretativa sono state ritenute potenzialmente rilevanti anche la costituzione fittizia di servitù, di diritti reali di godimento, la concessione di locazione, la ricognizione di debito, insomma ogni atto di disposizione del patrimonio che abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario.

La fattispecie prevede, infatti, che sia punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare di imposte, sanzioni e interessi è superiore a 200.000 euro si applica la reclusione da un anno a sei anni.

Con la sentenza n. 14217 depositata ieri, la Corte di Cassazione ribadisce che oggetto di immediata tutela dell’incriminazione della condotta non è il patrimonio in sé del contribuente, che costituisce garanzia (generica) del debito erariale contratto, quanto, piuttosto, la necessità di preservare la riscossione del credito erariale da qualsiasi attività volta a depauperare in modo fraudolento tale garanzia, così da ostacolare l’attività di riscossione coattiva del credito. “L’interpretazione della norma non dà adito a dubbi posto che la natura simulata ovvero fraudolenta, rispettivamente della vendita o dell’atto, qualifica l’azione sotto il profilo della sua offensività”.

Occorre, cioè, che per effetto della condotta si determini una situazione tale per la quale il bene simulatamente alienato o in relazione al quale sono stati compiuti atti fraudolenti appaia all’Erario effettivamente uscito dal patrimonio del debitore, così da rendere impossibile o comunque più difficile il recupero. Non rilevano, dunque, i fisiologici atti di disposizione del proprio patrimonio che il contribuente può liberamente compiere; rileva la disposizione fraudolenta, quella cioè oggettivamente idonea a ingannare il terzo sulla reale consistenza del patrimonio stesso (cfr. sul punto Cass. n. 25677/2012).

Alla luce di tale ratio va allora interpretata la nozione di “atti fraudolenti”, nel senso che è tale qualsiasi atto che, non diversamente dall’alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.

La fraudolenza – precisano ancora i giudici di legittimità – deve qualificare l’atto sul piano oggettivo, senza che sia necessario attingere a fatti o comportamenti a esso estrinseci per escluderne la natura.

Inoltre, essa preesiste al dolo specifico dell’azione: il fine di sottrazione qualifica, cioè, il dolo specifico non la natura fraudolenta dell’atto mediante il quale l’agente persegue lo scopo, sicché non è corretto individuare o meno la natura fraudolenta dell’atto in considerazione (e a causa) dello scopo perseguito dal suo autore. I piani devono rimanere distinti se si vuole evitare che il disvalore dall’azione si tramuti in disvalore della volontà e, soprattutto, se si vuole evitare l’allargamento della fattispecie a condotte non tipiche.

Nel caso di specie, viene così confermata la penale responsabilità di due soggetti che, in concorso tra loro, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e di interessi e sanzioni relative a tali imposte e, in particolare, al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva relativa alla cartella di pagamento notificata il 9 febbraio 2016 a carico di una società a responsabilità limitata, “svuotavano” il conto corrente intestato alla società suddetta.