La rinegoziazione dell’esposizione bancaria presuppone l’autorizzazione del giudice

Di Marco PEZZETTA

L’accesso alle garanzie del Fondo PMI è consentita (art. 13 del DL 23/2020) anche alle imprese che nel 2020 sono state ammesse a concordato preventivo in continuità ex art. 186-bis L. fall., purché: le loro esposizioni non siano più da classificare come NPE; non abbiano arretrati successivi all’applicazione delle concessioni (forbearance) ricevute; la banca possa “ragionevolmente presumere il rimborso integrale dell’esposizione alla scadenza”. Già queste prime tre condizioni, necessarie in base al Reg. Ue 575/2013, paiono abbastanza difficili da soddisfare, evidenziando che molti strumenti “nazionali” per affrontare l’emergenza devono trovare una sponda in coerenti modifiche del quadro normativo europeo per essere del tutto efficaci. Questa, però, non è l’unica difficoltà applicativa. Vediamo perché, limitando l’analisi ai concordati.

In primo luogo occorre che le imprese siano state ammesse a concordato preventivo in continuità. Devono ritenersi escluse invece quelle che hanno avuto accesso alla mera fase prenotativa, in quanto potrebbero non sfociare in un concordato in continuità (o, almeno, misto), ma liquidatorio. D’altro canto il concordato in continuità è ammesso purché il piano e l’attestazione possiedano alcune peculiari caratteristiche, indicate dall’art. 186-bis L. fall., condizione questa che, a evidenza, non può essere verificata nella fase “in bianco”. Tale modalità di accesso alla garanzia, inoltre, non sembra interessare i concordati in continuità indiretta in cui il mantenimento going concern è garantito da un terzo, che conduce in affitto l’azienda del debitore in crisi con l’impegno di acquistarla poi a concordato omologato. Qui il finanziamento del capitale circolante (o di investimenti urgenti) è in capo al conduttore, che potrà pure accedere al Fondo di garanzia se ne ha le caratteristiche, ma indipendentemente dagli impegni assunti nei confronti dell’impresa in concordato.

Va considerato altresì che i finanziamenti bancari alle imprese in concordato in continuità diretta godono della garanzia purché l’accordato aumenti di almeno il 10% rispetto alla situazione precedente. Non deve trattarsi quindi di operazioni di mera rinegoziazione (art. 13 del DL 23/2020), ma che diano origine a nuova finanza, da coordinare anche con la disciplina del concordato preventivo. A tale riguardo si richiama il secondo comma dell’art. 167 L. fall., secondo il quale, inter alia, “I mutui”, “le transazioni” e “in genere gli atti eccedenti la ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato”.

Sembra difficile che possa essere considerata ordinaria una operazione concordataria di rinegoziazione dell’esposizione bancaria, con incremento dall’accordato, conclusa grazie a una garanzia pubblica che, in caso di successiva insolvenza, trasformerebbe il debito in privilegiato. Se non autorizzata dal giudice delegato, peraltro, questa operazione renderebbe inopponibile la garanzia pubblica ai creditori del passivo concordatario, vanificandone, di fatto, l’utilità. Si tratta quindi di una operazione che deve essere autorizzata e che, ragionevolmente, avendo natura straordinaria e potendo impattare sull’entità dei debiti privilegiati, identifica una modifica del piano.

Da ciò consegue che essa potrà essere proposta solo (art. 172 comma 2 L. fall.) fino a 15 giorni prima dell’adunanza dei creditori, oppure in ragione dell’art. 9 comma 2 del DL 23/2020 che consente nei concordati preventivi non omologati al 23 febbraio 2020 di presentare, sino all’udienza di l’omologa, istanza per la concessione di un termine non superiore a 90 giorni per il deposito di un nuovo piano. I finanziamenti in parola non paiono poter essere facilmente inquadrati nell’art. 182-quater L. fall.: né al comma 1, in quanto non effettuati in esecuzione del concordato post omologa, né fra quelli di cui al comma 2, poiché questi ultimi sono erogati ante ammissione al concordato, posto che devono essere contemplati dal piano con prededucibilità sancita dal decreto ex art. 163 L. fall.

Più agevole appare ricondurre la fattispecie in seno all’art. 182-quinquies L. fall., anche se ciò non esclude la preventiva autorizzazione del tribunale. Tale autorizzazione viene rilasciata una volta acquisita specifica attestazione (confermata probabilmente da una relazione integrativa del commissario giudiziale) che i finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori e, quindi, consentono una maggiore percentuale o (cosa che, finanziariamente, ha lo stesso effetto) tempi più brevi di pagamento. La miglior soddisfazione, a sua volta, non può che emergere da una modifica del piano concordatario, da presentare sempre entro i termini fissati dall’art. 172 L. fall. o dall’art. 9 del DL 23/2020. In quest’ultimo caso appare evidente che la garanzia pubblica è uno strumento di agevolazione molto efficace per le banche, le quali così godono di essa e della prededuzione, ma meno per le imprese che, se in bonis, corrono il rischio di non poter proporre un concordato preventivo qualora qualcosa vada storto e la banca escuta la garanzia, con riqualificazione a privilegio del credito, se, invece, già ammesse al concordato, paiono doversi confrontare con non pochi dubbi interpretativi e limiti applicativi.