Nel 2020 potrebbe essere opportuno utilizzare la cosiddetta analisi degli scenari

Di Alessandro SAVOIA

Il tema della determinazione delle perdite durevoli di valore è sicuramente di particolare interesse per tutte le imprese che sono state impattate nel corso del 2020 dalla diffusione del COVID-19.
L’attenzione sull’argomento è stata posta dalla Fondazione nazionale dei commercialisti (documento di ricerca del 20 aprile 2020) e da Assonime (caso 5/2020). Da ultimo, è intervenuto l’OIC con la comunicazione pubblicata nella versione definitiva il 5 maggio 2020.
Il procedimento di impairment, già caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità e di soggettività per le imprese in bonis, assume ben comprensibilmente ulteriori elementi di criticità e di complessità nell’ambito delle imprese in crisi.

Il contesto di crisi di impresa pone in primo luogo in evidenza le problematiche riguardanti la corretta stima dei flussi finanziari. Questo porta a sua volta l’attenzione alla redazione del piano industriale dell’impresa, in quanto tale documento (purtroppo spesso mancante nelle imprese di minori dimensioni) rappresenta la base di partenza per l’implementazione del modello alla base del test.
Vale la pena ricordare tuttavia come, benché i dati da utilizzarsi per la valutazione della presenza di perdite durevoli di valore di attività materiali e immateriali originino dal piano industriale, esso non debba necessariamente essere preso tout court per verificare l’eventuale presenza di perdite durevoli di valore.

Come indica il § 25 dell’OIC 9, i flussi di cassa da utilizzare ai fini del test devono fare riferimento a “condizioni correnti”.
Pertanto, così come non bisogna fare riferimento a “il miglioramento o l’ottimizzazione del rendimento dell’attività”, allo stesso modo non devono essere tenuti in considerazione, nella stima dei flussi di cassa attesi, temporanei ed eccezionali peggioramenti dell’attività aziendale, a maggior ragione se emersi successivamente alla chiusura dell’esercizio.

Un ulteriore conforto sul fatto che il COVID-19 non debba influenzare il test in commento lo si ritrova nelle indicazioni di Assonime, la quale precisa che “il valore d’uso si determina sicuramente in base ai più recenti piani industriali e agli scenari ma che siano presenti alla data di chiusura dell’esercizio di riferimento. I risultati che non sarebbero stati ragionevolmente prevedibili alla data di chiusura non dovrebbero riflettersi nei calcoli del valore recuperabile delle attività non finanziarie”.

Da ultimo, l’OIC nella comunicazione da poco diffusa nella versione definitiva precisa come l’OIC 9 richieda agli amministratori di predisporre piani aziendali contenenti una proiezione dei flussi finanziari futuri con esclusivo riferimento agli elementi in essere alla data di riferimento del bilancio chiuso al 31 dicembre 2019. Ne consegue che gli effetti del COVID-19 non devono essere considerati nei piani aziendali utilizzati per determinare il valore d’uso di un’immobilizzazione.

Diverso appare, invece, il tema dell’impairment test da farsi nell’ambito di bilanci riferiti al 2020 (intermedi o d’esercizio).
Per tali bilanci, i fatti 2020 non sono più successivi alla chiusura dell’esercizio e con buona probabilità i riflessi del COVID-19 potrebbero essere duraturi.
Peraltro, occorre ricordare come, per le imprese in crisi, la cosiddetta execution del piano industriale possa costituire un elemento di incertezza che assume rilievo crescente e certamente maggiore rispetto a una impresa in bonis.
Il rischio di execution, alla stregua di quanto avviene per i rischi specifici, ai fini della stima del valore recuperabile, viene abitualmente trattato in due differenti modi:
– attraverso un incremento del tasso di attualizzazione, da motivarsi sulla base della maggiore asimmetria della distribuzione dei risultati attesi; oppure,
– attraverso una rettifica in diminuzione delle stesse proiezioni di flussi.

È tuttavia opportuno evitare di compiere errori di double counting, conseguenti al fatto di sommare, a causa di eccessive prudenze, correzioni in senso restrittivo di tutte le variabili utilizzate nel processo di determinazione del test di impairment.
In questa situazione, l’incertezza che indubbiamente contraddistingue i piani in contesti di crisi, quali saranno quelli predisposti nel corso del 2020, potrebbe rendere opportuno, ai fini del test di impairment, l’utilizzo della cosiddetta analisi degli scenari.

Tale analisi, nello specifico, perviene alla determinazione dei flussi finanziari attesi attraverso la media ponderata per la probabilità dei vari scenari, a loro volta determinati sulla base di differenti ipotesi su variabili chiave, e ciò al fine di poter avere un quadro più completo dell’incidenza del rischio sul valore dell’attività stessa.
Il ricorso a tale approccio (non presente nell’OIC 9) aiuterebbe le imprese a porre in essere test probabilmente meno penalizzanti per i bilanci 2020.