La Cassazione si rifà a un concetto di inerenza «quantitativo» e «utilitaristico», mutuato dalla disciplina delle imposte dirette
L’IVA assolta in reverse charge dal soggetto passivo residente sui costi per servizi infragruppo resi da soggetti esteri è indetraibile, laddove non sia provata l’inerenza degli stessi.
Sebbene non sia contestata la regolare effettuazione dell’inversione contabile, e la neutralità delle operazioni, “la mancanza dei presupposti sostanziali, relativamente alla prova dell’effettività ed inerenza dei costi, ove accertata, renderebbe indetraibile l’IVA ad essi relativa”.
A queste conclusioni perviene la Cassazione nella sentenza n. 3599 del 13 febbraio 2020, la cui decisione – a conferma di quella del giudice di seconde cure – si basa sulla considerazione che non sia stato sufficientemente assolto l’onere probatorio in ordine a costi per servizi prestati da soggetti comunitari appartenenti al medesimo gruppo.
La questione verte sulle spese sostenute per servizi resi da soggetti non residenti nell’ambito di gruppi multinazionali, al centro dell’attività di controllo degli organi accertatori che, muovendo le contestazioni sulla congruità delle stesse (con richiamo alla disciplina in materia di transfer pricing, di cui all’art. 110 comma 7 TUIR), ne fanno discendere un sindacato sull’an e sul quantum delle medesime, disconoscendone la deducibilità per carenza del requisito di inerenza.
Nella fattispecie, la Corte nega la deducibilità dei costi, e la detraibilità dell’IVA contestualmente assolta, ritenendo che la documentazione prodotta non sia sufficiente prova dell’inerenza di detti componenti negativi di reddito all’attività economica.
Il caso conferma, ancora una volta, come il sindacato sui costi nell’ambito dell’imposizione diretta divenga, in fase accertativa – spesso con avallo dei giudici di legittimità –, occasione per traslare tali rettifiche anche in ambito IVA, sino a negare la detraibilità dell’imposta assolta.
Nella pronuncia in commento, il giudice di legittimità nega il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in inversione contabile sulle spese infragruppo, rifacendosi a un concetto di inerenza “quantitativo” e “utilitaristico” (contra, sul carattere prettamente “qualitativo” che deve assumere il giudizio sull’inerenza, cfr. Cass. nn. 18940/2018 e 33574/2018), mutuato dalla disciplina delle imposte dirette.
La Corte nega la detraibilità dell’IVA assolta sulle spese per servizi infragruppo ritenendo non adempiuta la prova dell’“effettiva utilità” tratta dagli stessi, nonostante il richiamo al principio del corrispettivo effettivo (ex art. 13, primo comma del DPR 633/72 e art. 73 della Direttiva 112/2006/Ce), cardine nel sistema dell’IVA (Cass. n. 2240/2018), fondato sulla neutralità e su presupposti differenti da quelli dell’imposizione diretta (Corte di Giustizia Ue causa C-132/16).
La detrazione dell’imposta assolta sulle spese per servizi infragruppo è negata in ragione della mancata prova dell’effettiva utilità e vantaggio economico conseguito dai servizi resi e del mancato assolvimento dell’onere probatorio in punto di inerenza dei costi, il cui richiamo risulta forse improprio in ambito IVA, ove è l’art. 19, comma 1 del DPR 633/72 (vigente ratione temporis) a disciplinare la detraibilità dell’imposta assolta in relazione a beni e servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, stabilendo che il diritto alla detrazione è negato laddove sorga in relazione all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti a operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta.
Così, sul solco di precedenti pronunce (Cass. n. 6972/2015), pur riconoscendo – almeno sul punto sanzioni ex art. 1, comma 2-ter del DLgs. 471/97 –, che la disciplina in materia di transfer pricing non rileverebbe nel caso di specie perché non applicabile in materia di IVA, la Cassazione nega la detraibilità dell’IVA assolta su costi considerati non inerenti, sulla base di un sindacato sulla “congruità” e “utilità” degli stessi, ponendosi in netto contrasto con la recente Norma di comportamento dell’AIDC n. 205/2019.
Quest’ultima, infatti, afferma che, anche laddove la contestazione delle spese mossa nel campo delle imposte sul reddito possa trovare ingresso in ambito IVA, l’imposta assolta con l’inversione contabile deve essere riconosciuta come detraibile e i sindacati sulla deducibilità di componenti negativi di reddito non possono pregiudicare il diritto alla detrazione, il cui esercizio rimane vincolato al principio della neutralità.
La detraibilità dell’IVA assolta può essere messa in discussione solo qualora la macroscopica “irragionevolezza” (e non inerenza) della spesa sostenuta per i servizi infragruppo rispetto all’attività d’impresa “avvenga in un contesto in cui la sua stessa dimensione renda plausibilmente esistente un fumus frodatorio sul comportamento del soggetto passivo”.