Secondo il Tribunale di Milano, può esercitare i soli diritti funzionali alla valorizzazione della partecipazione
Al socio receduto, in ragione della manifestata volontà di fuoriuscire dalla compagine sociale monetizzando la propria quota, possono essere riconosciuti i soli diritti partecipativi funzionali alla valorizzazione della stessa, che ancora deve essergli liquidata.
Ad affermarlo è il Tribunale di Milano nella sentenza n. 3729/2019.
Si ricorda che, secondo una prima ricostruzione, invocata dal soggetto che nel caso di specie aveva esercitato il diritto di recesso, la qualità di socio di spa permarrebbe in capo al recedente anche dopo l’esercizio del diritto di recesso, dal momento che, solo a seguito della liquidazione della quota, potrebbe configurarsi il venir meno di tale qualità. Con la conseguenza che i diritti resterebbero nel frattempo immutati, incluso quello di impugnare le delibere eventualmente adottate (cfr. Trib. Milano 4 maggio 2017 n. 4949 e App. Milano 21 aprile 2007).
I sostenitori di tale orientamento, inoltre, sono soliti evidenziare come la Suprema Corte, nella sentenza n. 5548/2004 – in relazione, quindi, alla disciplina anteriore alla riforma del diritto societario, e solo in obiter dictum – avesse dichiarato “condivisibile l’opinione di chi reputa perdurante la qualità di socio del receduto fino al momento in cui sia concluso il procedimento di liquidazione e rimborso della quota”.
Il Tribunale di Milano ricorda, innanzitutto, come, nella citata sentenza della Suprema Corte (la n. 5548/2004), oltre al passaggio ripreso, sia stato anche precisato che “il recesso del socio da una società è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi e a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria” (appare, peraltro, opportuno segnalare come la prima affermazione di Cass. n. 5548/2004 sia stata ripresa anche da Cass. n. 22303/2013).
Quanto alla decisione della Corte d’Appello di Milano, inoltre, la sentenza in esame ne ritiene minima l’incidenza sul caso affrontato. Ciò in quanto tale provvedimento valorizzerebbe – ai fini della configurabilità dello stato di socio in capo al receduto – la possibilità di determinazioni assembleari che, revocando la delibera dante origine alla facoltà di esercitare il recesso, eliminino i presupposti di operatività della stessa manifestazione di volontà del receduto; possibilità che, nel caso di specie, non risultano configurabili, dal momento che il recesso era stato esercitato dal socio attore sul presupposto di una durata della società equiparabile a quella indeterminata e quindi ad nutum.
Si evidenzia, poi, come, secondo la ricostruzione ritenuta preferibile, dopo l’esercizio del diritto di recesso, il socio – la cui manifestazione di recesso è irrevocabile, trattandosi di atto unilaterale ricettizio – sia titolare del solo diritto alla liquidazione della quota; e, quindi, di un diritto di partecipazione per così dire affievolito (cfr. Trib. Roma 11 maggio 2005 n. 10720; si veda anche Trib. Napoli 14 gennaio 2011).
D’altra parte, lo stesso Tribunale di Milano n. 4949/2017 ha precisato come al socio recedente possa essere riconosciuto solo l’esercizio di quei diritti strettamente connessi al diritto alla liquidazione della quota e strumentali alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale; come, ad esempio, l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.
Nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, quindi, il socio recedente resterebbe titolare dei soli diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l’esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l’effettivo rimborso della quota oggetto di recesso (cfr. Trib. Pavia 5 agosto 2008).
Al socio receduto – afferma quindi il Tribunale di Milano – in ragione della manifestata volontà di fuoriuscire dalla compagine sociale monetizzando la sua quota, possono essere riconosciuti i soli diritti partecipativi funzionali alla valorizzazione della stessa, ancora da liquidare. L’attribuzione di tutte le posizioni partecipative ordinarie, infatti, sarebbe incongrua, in quanto non più collegata alla partecipazione sociale in senso proprio; in particolare, l’attribuzione tout court della legittimazione ad impugnare diventerebbe non più connessa all’interesse ad agire – tipico del socio non receduto – ma ad un più generico interesse a che le delibere assembleari rispondano allo schema legale.
Ciò, peraltro, come evidenziato, salvo il caso in cui l’esercizio dei diritti partecipativi sia strumentale rispetto alla salvaguardia del patrimonio sociale in vista della liquidazione della quota e che l’impugnazione sia rivolta nei confronti delle delibere idonee ad incidere su tale liquidazione.
Ad ogni modo, non possono reputarsi tali le delibere impugnate nel caso di specie, recanti la non approvazione delle proposte di vendita di immobili sociali ed il conferimento di mandato all’amministratore per svolgere indagini di mercato quanto alla vendita di immobili sociali.
Rispetto ad esse, quindi, è configurata la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo al socio receduto.