Contestata la fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 5711/2020, analizza una diffusa tipologia di condotte che può portare alla contestazione della fattispecie di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).

Ai sensi di tale disposizione, nella versione rilevante nel caso di specie, anteriore alle modifiche apportate dal DLgs. 158/2015, fuori dei casi previsti dal precedente art. 2, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
– l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a trentamila euro;
– l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, sia superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, sia superiore a un milione di euro.

Rispetto a tale dato normativo, la Suprema Corte osserva, in primo luogo, come la riformulazione della norma ad opera del DLgs. 158/2015, non abbia comportato alcuna abolitio criminis, stante la continuità normativa tra le due disposizioni.

Peraltro, mentre la fattispecie previgente, e rilevante nel caso di specie, era articolata in tre segmenti distinti – la falsa dichiarazione dei redditi o IVA, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie poste a base del predetto mendacio e l’utilizzazione di “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento” – la novella ha semplificato la struttura dell’illecito tramite l’eliminazione dell’elemento della “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie” e una più articolata descrizione delle condotte artificiose.

È, quindi, reputata corretta la ritenuta applicabilità della previgente disciplina, perché maggiormente selettiva nella descrizione del fatto, prevedendo quale elemento costitutivo anche la falsa rappresentazione delle scritture contabili, che non è più richiesto dalla fattispecie in vigore.

A fronte di tutto ciò, la Suprema Corte sottolinea come integri la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui all’art. 3 del DLgs. 74/2000, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal DLgs. 158/2015, l’amministratore di una srl che:
– tratta una serie di operazioni come non imponibili IVA (con conseguente mancata contabilizzazione della relativa IVA a debito), in ragione della falsa attestazione dello status di esportatori abituali rivestito dai cessionari, come risultante dalle “dichiarazioni di intento” rilasciate dagli stessi (con la falsità di dette dichiarazioni desunte dal fatto che tali società risultavano prive di dipendenti, di sedi operative e di mezzi strumentali, non presentavano dichiarazioni fiscali, né comunicavano le operazioni effettuate con soggetti esteri). Così realizzando la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, elemento costitutivo del fatto contestato, annotandosi in esse, come non imponibili, operazioni che, come si è detto, erano in realtà soggette al pagamento dell’IVA;

– indica nelle dichiarazioni IVA, nel rigo VE22, relativo alle “operazioni commerciali imponibili”, un importo di gran lunga inferiore a quello dovuto, mentre nel rigo VE31, tra le “operazioni non imponibili a seguito di dichiarazione di intento”, annota tutte le transazioni commerciali con le società che hanno rilasciato la falsa “dichiarazioni di intento”. Il combinarsi di tali iscrizioni realizza perciò l’ulteriore elemento costitutivo della fattispecie in questione dell’indicazione in dichiarazione di elementi attivi inferiori a quelli reali;

– predispone, oltre alla fattura di vendita, da un lato, un documento ufficiale di trasporto, con clausola FCA (acronimo di free carrier o franco vettore), in base alla quale il venditore mette a disposizione la merce presso un vettore concordato con il compratore, che si assume i rischi e i costi del trasporto, e, dall’altro, diversamente da quanto risultante dai documenti ufficiali, gestisce direttamente il trasporto presso la successiva destinazione, dando alle società acquirenti precise indicazioni operative (in relazione, in particolare, al nome dell’autista e alla targa del mezzo di trasporto) e predisponendo un secondo documento di trasporto che accompagna la merce, in cui si indica come mittente il destinatario finale della consegna, impartendo raccomandazioni ai vettori di non allegare al carico il documento di trasporto FCA, il quale è archiviato in contabilità. Condotta che integra gli altri mezzi fraudolenti, quale ultimo elemento della condotta fraudolenta disegnata dall’art. 3 del DLgs. 74/2000.