Per il sequestro va spiegato perché, a fronte dell’operazione, il patrimonio della cessionaria non è stato ritenuto sufficiente ad assicurare la pretesa
La vicenda esaminata dalla Cassazione nella sentenza n. 5392 depositata ieri riguarda la contestazione del reato di cui all’art. 11 del DLgs. 74/2000 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), disposizione che mira a evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni, fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario.
Nel caso di specie, alla società A erano stati notificati avvisi di accertamento; successivamente, la società B aveva acquistato le quote della società A che veniva poi sottoposta a scissione societaria. All’esito dell’operazione straordinaria, l’attivo societario di A veniva trasferito a B; A veniva ceduta a un terzo a prezzo vile e il patrimonio immobiliare, unitamente al fondo di ammortamento e ai debiti verso i dipendenti, veniva ceduto alla società C che qui, come terzo interessato, ricorreva contro il provvedimento di sequestro dei beni immobili così pervenutole. Dal canto suo, la cessionaria e coobbligata B aveva poi provveduto all’integrale pagamento dei debiti tributari.
In sintesi, la prospettazione accusatoria attribuiva alle descritte operazioni societarie il fine fraudolento della sottrazione dei beni immobili alle procedure di riscossione coattiva del debito tributario.
Prima di entrare nel thema decidendum, la Corte ha richiamato la sua giurisprudenza sulla fattispecie criminosa contestata, a cui è attribuita la natura di reato di pericolo concreto, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio ex ante, l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria.
Oggetto giuridico del reato, pertanto, non è il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica, rappresentata dai beni dell’obbligato, potendosi pertanto configurare il reato anche nel caso in cui, dopo il compimento degli atti fraudolenti, si verifichi comunque il pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni (Cass. n. 35853/2016).
Quanto alla condotta del reato, la Corte ha fatto proprio il principio di diritto espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12213/2018 per cui la nozione di “atto fraudolento” contenuta nell’art. 11 del DLgs. 74/2000, con terminologia mutuata dall’art. 388 c.p. (“mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”), è riconducibile a ogni comportamento che, formalmente lecito, sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno, ovvero a ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero, ovvero a qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione.
Dato il principio di diritto, la Corte ha annullato il provvedimento impugnato rilevando come il giudice cautelare non avesse in alcun modo preso in esame la dirimente questione, devoluta dalla difesa, della responsabilità solidale della società cessionaria ex artt. 2506 c.c., 173 comma 13 del TUIR e 15 del DLgs. 472/1997 e dell’eventuale incidenza di detta solidarietà, rispetto all’idoneità ex ante dell’operazione di scissione, di pregiudicare l’attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria.
Inoltre, il provvedimento non spiegava perché, a fronte dell’operazione di scissione, il patrimonio complessivo della società cessionaria non fosse stato considerato sufficiente, sempre ex ante, ad assicurare le pretese dell’Amministrazione, tanto che poi essa aveva provveduto all’integrale pagamento dei debiti tributari.
Anche sotto altro profilo, però, la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, rilevando l’inoperatività, nel caso di specie, della confisca ex art. 12-bis del DLgs. 74/2000 per il pagamento del debito tributario.
La giurisprudenza di legittimità, qui richiamata dalla Corte, ha infatti affermato che i beni immobili appartenenti al soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ex art. 240 comma 1 c.p. in quanto costituiscono lo strumento per mezzo del quale è stato commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione, anche come prezzo o profitto del reato.
Tuttavia, la previsione di cui all’art. 12-bis comma 2 del DLgs. n. 74/2000, secondo la quale la confisca, diretta o per equivalente, non opera per la parte del profitto o del prezzo del reato che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro, va intesa nel senso che, per la parte coperta da tale impegno, la confisca può comunque essere adottata nonostante l’accordo rateale intervenuto, ma non è eseguibile, producendo i suoi effetti solo al verificarsi del mancato pagamento del debito.
Nel caso di specie, il giudice cautelare, erroneamente, non aveva considerato la circostanza, dedotta dalla difesa, della inoperatività della confisca a fronte del documentato pagamento integrale dei debiti.