Rilevano, quindi, se falsi, ai fini della fattispecie di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000

Di Emanuele GRECO e Maurizio MEOLI

Il documento di transito doganale interno (T2) rientra nel novero degli “altri documenti” di cui all’art. 1 lett. a) del DLgs. 74/2000; l’emissione di tale documento falso, pertanto, è suscettibile di integrare la condotta del reato di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000.
A stabilirlo è la Cassazione, nella sentenza n. 4433, depositata ieri.

L’art. 8 del DLgs. 74/2000 punisce chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, emetta o rilasci “fatture” o “altri documenti” per operazioni inesistenti. Per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’IVA in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (così dispone l’art. 1 lett. a) del DLgs. 74/2000).

La fattura è il documento fiscale in cui si ravvisa una dichiarazione di scienza tesa ad attestare le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di regola soggette all’imposta. Le fatture devono essere emesse per ciascuna operazione “imponibile” posta in essere, nonché in presenza di operazioni “non imponibili” o “esenti”, ai sensi dell’art. 21 del DPR 633/1972 e, relativamente alle operazioni comunitarie, dell’art. 46 del DL 331/1993 convertito.
Gli “altri documenti” che vengono in rilievo sono quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture; si tratta dei documenti fiscali tipici previsti dall’art. 21 del DPR 633/1972.

Emerge, quindi, come il criterio di equiparazione degli “altri documenti” alla fattura sia da individuare nella natura “funzionale” di tali documenti, che, in base a disposizioni tributarie, consente di equipararli alla fattura laddove possano sostituirla, integrarla o ampliarne la funzione. Si è, così, precisato come siano da collocare nel novero di tali documenti le ricevute fiscali, gli scontrini fiscali, nonché i documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, e anche le schede carburante (cfr. Cass. nn. 2156/2012 e 5642/2012).

Su tali basi, inoltre, la Cassazione, nella sentenza n. 9453/2018, ha sottolineato la rilevanza fiscale dei documenti di trasporto, in quanto l’art. 21 comma 4 del DPR 633/1972 menziona specificamente il documento di trasporto nel novero dei documenti aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture.

E, quindi, si è precisato come anche il documento di trasporto internazionale, denominato CMR o lettera di vettura internazionale – previsto dalla Convention de Merchandise par Route ratificata in Italia con legge ordinaria (L. 1621/1960, come modificata da un protocollo approvato a Ginevra il 5 luglio 1976 e reso esecutivo con la L. 242/1982) – abbia anch’esso rilevanza fiscale, assolvendo a una funzione integrativa della fattura ed essendo documento idoneo a comprovare il trasferimento delle merci intracomunitarie ai fini del regime di non imponibilità IVA di cui all’art. 41 comma 1 lett. a) del DL 331/1993 convertito.
Di conseguenza, l’emissione di un siffatto documento per operazioni inesistenti integra la condotta del reato di cui all’art. 8 DLgs. 74/2000.

La decisione in commento, ora, osserva come analogo discorso non possa non valere anche per il caso in questione; vale a dire per il documento di transito doganale interno (T2), seppure non espressamente equiparato alle fatture ex art. 21 comma 4 del DPR 633/1972.
Se è vero che il documento di trasporto internazionale, o lettera di vettura internazionale (CMR), ha anch’esso rilevanza fiscale perché assolve a una funzione integrativa della fattura ed è documento idoneo a comprovare il trasferimento delle merci intracomunitarie ai fini del loro trattamento IVA, è altrettanto vero che, guardando al caso di specie, il documento di transito doganale consente la circolazione di merci, sotto controllo doganale, tra due punti del territorio doganale della Ue ovvero tra la Ue e alcuni altri Paesi nell’ambito del c.d. transito comune.
In tal modo è assicurata la circolazione di merci che, altrimenti, a seguito dell’immissione in libera pratica, avrebbero dovuto assolvere agli oneri normalmente previsti per il loro inoltro da un punto all’altro della Comunità (dazi doganali, IVA, accise e altri prelievi).

Il predetto documento, allora, secondo la Corte, sicuramente assolve a una funzione tributaria, essendo destinato a provare fatti di rilievo fiscale nei termini indicati, così integrando le funzioni della stessa fattura e rilevando, in caso di falsità, ai fini della fattispecie di cui all’art. 8 del DLgs. 74/2000.

Peraltro, l’emissione di un documento di transito interno (T2) falso è tale da consentire a un importatore di non dover assolvere la dovuta IVA all’importazione, tralasciando i tributi doganali. L’IVA all’importazione è, per costante giurisprudenza (da ultimo, Cass. n. 19233/2019), equiparata all’IVA interna, con conseguente rilevanza anche in riferimento alla violazione penale ex art. 8 del DLgs. 74/2000.