La Cassazione rivede il suo orientamento prevalente

Di Maurizio MEOLI

L’ipotesi prevista dal previgente art. 8 comma 3 del DLgs. 74/2000, riguardante il caso in cui l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti falsi fosse inferiore a 154.937,07 euro per periodo di imposta, era una fattispecie autonoma di reato e non una mera circostanza attenuante.

A stabilirlo è la Cassazione, nella sentenza n. 3163, depositata ieri, mettendo in discussione non solo quello che è l’orientamento assolutamente prevalente in relazione alla previgente fattispecie, ma anche quella che è la ricostruzione proposta dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte in relazione alla nuova, analoga, ipotesi introdotta dal recente art. 39 del DL 124/2019 convertito nella L. 157/2019.

Ai sensi del previgente art. 8 comma 3 del DLgs. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti falsi), si applicava la pena della reclusione da sei mesi a due anni (in luogo della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti falsi fosse risultato inferiore a 154.937,07 euro per periodo di imposta. Analogamente, per la fattispecie di cui all’art. 2 comma 3 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti falsi), si applicava la pena della reclusione da sei mesi a due anni (in luogo della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) se l’ammontare degli elementi passivi fittizi di cui ci si avvaleva in dichiarazione fosse risultato inferiore a 154.937,07 euro.

Tali disposizioni sono state abrogate dall’art. 2 comma 36-vicies semel lett. a) e g) del DL 138/2011 convertito.
Ad ogni modo, secondo la prevalente ricostruzione (cfr., tra le altre, Cass. nn. 6354/201947459/201853905/20165720/2016 e 3420/2015) nelle ipotesi considerate ci si trovava in presenza di circostanze attenuanti.

Si sottolineava, infatti, come la formulazione normativa fosse indice di tale natura, in quanto la descrizione della condotta era operata per relationem alla fattispecie principale, senza alcun mutamento degli elementi essenziali della condotta illecita. Si precisava, poi, come, in assenza di indicazioni legislative, il canone principale di individuazione della natura circostanziale dovesse essere rappresentato dal criterio di specialità (art. 15 c.p.): gli elementi circostanziali si pongono in un rapporto di species a genus rispetto ai corrispondenti elementi della fattispecie semplice del reato.

Contro questa impostazione si erano collocate le pronunce della Cassazione nn. 23064/2008 e 26395/2004, reputando le fattispecie in questione ipotesi di reato autonomo.
La decisione in commento ora dichiara di voler aderire a tale ultimo orientamento, poiché, laddove la fattispecie fosse considerata tale da integrare una mera circostanza attenuante del reato e non tale da costituire un elemento distintivo di una, diversa e meno grave, ipotesi delittuosa di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, si correrebbe il rischio di cancellare completamente il rilevante dato dell’esistenza di una specifica correlazione fra l’ammontare della imposta evasa e l’entità della sanzione “irroganda”, potendo tale correlazione essere travolta dal giudizio di comparazione fra le eventualmente concorrenti aggravanti e l’entità della somma evasa.

Contestualmente, ma in senso opposto, si correrebbe il rischio di annacquare, ove fosse considerata prevalente nella comparazione la “pretesa” attenuante, la forza deterrente di eventuali circostanze aggravanti il cui effetto sarebbe risultato eliso dalla prevalenza della attenuante dettata dalla entità della imposta evasa.

Occorre ora valutare come tali conclusioni potrebbero ripercuotersi sulle novità introdotte dall’art. 39 del DL 124/2019 convertito.

In via generale, infatti, è stato previsto un aumento della pena per i reati di cui si sta trattando, che passa dalla reclusione da “un anno e sei mesi a sei anni” alla reclusione “da quattro a otto anni”. La reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, tuttavia, è rimasta applicabile nei soli casi in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi indicato nelle fatture o nei documenti emessi per periodo d’imposta o utilizzati in dichiarazione sia “inferiore” a 100.000 euro.

Rispetto a tale novità, la Relazione n. 3/2020 dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, nel fornire una prima analisi delle novità inserite dall’art. 39 del DL 124/2019 convertito, ha già precisato di ritenere preferibile parlare di mere circostanze attenuanti e non di autonome fattispecie di reato.
Si riconosce, peraltro, come in senso contrario potrebbe deporre il fatto che il DL 124/2019, inserendo i delitti in questione tra i reati presupposto della responsabilità 231, abbia nettamente distinto (come si trattasse di reati diversi) tra le ipotesi punite con la reclusione da 4 a 8 anni (per le quali la sanzione pecuniaria può arrivare fino a 500 quote) e quelle punite con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni (per le quali la sanzione pecuniaria può arrivare fino a 400 quote).