L’operatività della disposizione potrebbe essere differita con un emendamento al Ddl. di conversione del Milleproroghe

Di Alessandro COTTO e Paola RIVETTI

In questi giorni il Governo dovrebbe sciogliere la riserva in relazione alla decorrenza della causa ostativa al regime forfetario introdotta dalla L. 160/2019 determinata dal possesso di redditi di lavoro dipendente e a questi assimilati oltre il limite di 30.000 euro (nuova lett. d-ter) dell’art. 1 comma 57 della L. 190/2014).

La disposizione, in vigore dal 1° gennaio 2020, prevede il calcolo del limite con riferimento all’anno precedente per cui, per valutare l’utilizzabilità del regime nel 2020, occorrerebbe far riferimento ai redditi percepiti nel 2019. Da più parti è stato, tuttavia, osservato come il far dipendere l’utilizzabilità del regime da una condizione che è andata consolidandosi nel corso del 2019 non tuteli l’affidamento dei contribuenti, ragion per cui sono state assunte iniziative finalizzate a posticipare al 2020 la valutazione del nuovo limite, con effetti sull’utilizzabilità del regime dal 2021.

Lo scorso giovedì, nel corso di interrogazioni a risposta immediata in Commissione Finanze della Camera, il Sottosegretario al Ministero dell’Economia, Alessio Villarosa, aveva dichiarato che la questione è in corso di valutazione, riservandosi una settimana di tempo per fornire una risposta più precisa. In tale occasione è stata manifestata la volontà di intervenire sul punto in sede di conversione del DL 162/2019 (c.d. “Milleproroghe”).

L’intento sarebbe quello di contemperare il legittimo affidamento dei contribuenti con il rispetto dei saldi di finanza pubblica, atteso che l’immediata operatività delle modifiche al regime forfetario ha determinato un’attesa di gettito che dovrà essere in qualche modo compensata se vi sarà l’annunciato intervento normativo. Allo stato attuale risultano pronti diversi emendamenti finalizzati a limitare l’ambito di operatività della nuova causa ostativa.

Nell’eventualità in cui l’intesa sulla proroga della disposizione non abbia esito positivo, si tratterà di definire come calcolare il limite di 30.000 euro, aspetto sul quale l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito specifici criteri nei documenti di prassi a commento del medesimo limite vigente fino al 2018.

Si ritiene che i redditi di lavoro dipendente e di pensione (art. 49 del TUIR) e i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50 del TUIR) vadano considerati facendo applicazione dei criteri generali di determinazione dettati dagli artt. 51 e 52 del TUIR. Dunque:
– rileverebbero le somme e i valori percepiti in un dato anno (principio di cassa), considerando tali anche quelli corrisposti entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono (principio di cassa allargato);
– non dovrebbero essere considerati i valori espressamente esclusi da tassazione ai sensi dell’art. 51 comma 2 del TUIR (tra cui sono contemplati i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore e dal lavoratore).

Nel limite in esame dovrebbero computarsi anche tutte quelle indennità, somme o valori percepiti in sostituzione di redditi di lavoro dipendente o equiparati a questi (es. la cassa integrazione, le indennità dipendenti dallo stato di disoccupazione, l’indennità di maternità) che, in base all’art. 6 comma 2 del TUIR, sono comunque assoggettabili a tassazione come redditi di lavoro dipendente (C.M. n. 326/97, § 1.5).

Sotto un diverso profilo, il riferimento agli artt. 49 e 50 del TUIR farebbe propendere per l’inclusione nel limite di tutte le somme astrattamente qualificabili nell’ambito delle predette tipologie reddituali, seppur assoggettate a tassazione separata (es. le indennità connesse alla cessazione del rapporto o gli arretrati per prestazioni riferibili ad anni precedenti alle condizioni previste dall’art. 17 comma 1 del TUIR) oppure sostitutiva (come i premi di risultato assoggettati all’imposta sostitutiva del 10% di cui all’art. 1 comma 182 ss. della L. 208/2015). Tale interpretazione, pur aderente al tenore letterale della norma, appare eccessivamente penalizzante e contraria alla ratio del limite introdotto nella misura in cui comporti anche la valutazione di somme aventi natura straordinaria (come il TFR).

Si ricorda, infine, che la cessazione del rapporto di lavoro intervenuta nell’anno precedente l’accesso al regime consente di non valutare il limite sempre che, dopo la cessazione:
– non sia percepito un reddito (come quello di pensione) “che, in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente, assume rilievo, anche autonomo, ai fini del raggiungimento della citata soglia”;
– non sia intrapreso un nuovo rapporto di lavoro, ancora in essere al 31 dicembre dell’anno precedente (circ. Agenzia delle Entrate n. 10/2016, § 2.3).