Nelle pubblicazioni UIF sono presentati schemi di operazioni anomale caratterizzate da elementi ricorrenti e rilevanti per la valutazione del rischio

Di Stefano DE ROSA

A partire dal 1° gennaio scorso sono entrate in vigore le Regole tecniche emanate dal CNDCEC che hanno ad oggetto i seguenti obblighi antiriciclaggio:
– la valutazione del rischio dell’attività dello studio;
– l’adeguata verifica della clientela;
– la conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni.

Con particolare riferimento all’adeguata verifica della clientela, viene richiesto al professionista di valutare il rischio specifico connesso alle prestazioni richieste dai clienti (sulla base dei livelli di rischio attribuibili ad aspetti quali la tipologia, le modalità di svolgimento, l’ammontare, la frequenza, la ragionevolezza e l’area geografica di destinazione).

In tale ambito, al fine di individuare situazioni particolarmente rischiose, utili indicazioni per i destinatari degli obblighi sono fornite nelle pubblicazioni periodiche dell’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF) dove vengono analizzate segnalazioni di operazioni sospette caratterizzate da elementi ricorrenti e rilevanti per la valutazione dei rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. In particolare, esempi di fenomeni approfonditi dalla UIF sono inclusi nei “Rapporti annuali” (l’ultima pubblicazione, relativa al 2018, è di maggio 2019) e nella collana “Casistiche di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo” (l’edizione più recente è la n. 3, pubblicata nel mese di luglio 2018).

Nel rapporto annuale del 2018 viene evidenziato come circa un quinto delle segnalazioni di operazioni sospette pervenute all’Unità siano state ricondotte a possibili violazioni della normativa fiscale, rilevando come non di rado gli illeciti fiscali facciano parte di schemi fraudolenti complessi posti in atto per celare l’origine illecita delle risorse.

In altri termini, analizzare quali sono le segnalazioni più frequenti può fornire utili spunti per orientare la gestione dell’antiriciclaggio dello studio, al fine di evitare, almeno in linea di principio, che un’operazione venga considerata sospetta dalla banca o dal notaio e non dal commercialista.

La maggior parte dei casi emersi in tale area di rischio è stato ricondotto “a schemi operativi consolidati caratterizzati da giri di fondi tra persone fisiche e giuridiche collegate, possibili false fatturazioni, transiti su rapporti personali di operatività apparentemente di natura commerciale, prelevamenti di denaro contante da rapporti aziendali”.

Altre segnalazioni di operazioni sospette hanno portato all’attenzione dell’UIF anomalie connesse ai trasferimenti di crediti IVA caratterizzati da:
– frodi nelle fatturazioni mirate alla formazione strumentale di posizioni creditorie nei confronti del fisco;
– cessione di crediti tributari, presumibilmente falsi, a prezzi di molto inferiori al loro valore nominale.

Frequenti sono poi le anomalie rilevate in sede notarile concernenti essenzialmente operazioni societarie irregolari (acquisti e cessioni ravvicinate di quote societarie, improvviso o illogico cambio di sede, conferimenti di beni e servizi in quota del capitale sociale) mentre nell’ambito della revisione legale sono state inviate numerose segnalazioni che traggono spunto da irregolarità fiscali, tra le quali, in particolare, il mancato versamento dell’IVA, l’evasione previdenziale e le false fatturazioni.

Alcune delle fattispecie descritte nei documenti dell’UIF riguardano la costituzione di società da parte di prestanome e con versamento fittizio del capitale nonché l’utilizzo irregolare di schemi negoziali quali il factoring, per lo smobilizzo dei crediti d’impresa, e l’affitto di azienda, al fine di preservare il possesso dei beni in caso di fallimento.

Ulteriori casistiche sono riferite alla dissimulazione dello stato di tensione finanziaria di imprese tramite false rappresentazioni contabili. È il caso, ad esempio, di un’azienda che pochi giorni prima di essere dichiarata fallita ha concesso in affitto a terzi, poi rivelatisi prestanome, un proprio ramo d’azienda. La stipula del contratto è apparsa finalizzata al mantenimento del possesso dei beni e all’esercizio del diritto di prelazione all’acquisto di cui gode l’affittuario dell’impresa dichiarata fallita.

Nello stesso ambito, approfondimenti condotti su una società caratterizzata da struttura proprietaria opaca hanno consentito di ricondurne la titolarità ad un imprenditore fallito, condannato in passato per bancarotta fraudolenta. Il successivo esame dei bilanci della società in questione ha avvalorato l’ipotesi che l’imprenditore si apprestasse a reiterare analogo comportamento criminoso.