Prognosi legata a un arco temporale contenuto per l’incidenza di fattori nuovi e imprevedibili
Lo stato dell’insolvenza, ex art. 5 del RD 267/42, si distingue dall’inadempimento: mentre il primo consiste in una “situazione strutturale e non transitoria di incapacità di soddisfare regolarmente e con i mezzi normali le proprie obbligazioni” per la mancanza delle condizioni di liquidità e di credito (Cass. SS. UU. n. 115/2001), il secondo, invece, costituisce un indizio (solo) sintomatico dell’insolvenza, ma non ne rappresenta un elemento necessario.
Muovendo da tali presupposti, il Tribunale di Benevento, con decreto del 18 dicembre 2019, è ritornato sul diverso significato da attribuire ai due concetti, precisando come sia possibile, in concreto, che ricorra l’insolvenza senza l’inadempimento (è il caso dell’imprenditore che adempie le proprie obbligazioni con mezzi anormali, ad esempio cedendo i propri beni in luogo del pagamento), così come, per converso, può ricorrere un inadempimento senza uno stato di insolvenza (è il caso dell’imprenditore che volontariamente rifiuti di adempiere un’obbligazione, contestandone l’an o il quantum; ovvero, l’imprenditore che si trovi nella temporanea impossibilità di soddisfare i creditori, quando possa prospetticamente superare tale situazione, ad esempio, con la riscossione di crediti di certo realizzo, che lo stesso vanta nei confronti di terzi).
A sostegno di questa distinzione viene in rilievo anche l’argomento letterale dell’art. 5 comma 2 del RD 267/42, in virtù del quale lo stato di insolvenza si manifesta “con inadempimento od altri fatti esteriori”. L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “od” evidenzia come l’inadempimento sia solo uno dei possibili “fatti esteriori” idonei a dimostrare l’insolvenza, senza essere un elemento necessario o sufficiente.
L’indagine sullo stato di insolvenza non si identifica necessariamente e automaticamente con la valutazione del dato contabile (Cass. n. 29913/2018), richiedendo una “prospettiva dinamica”, al fine di valutare le condizioni economiche dell’impresa in un lasso di tempo futuro, ancorché contenuto. Se a tali direttive si ricorre per dichiarare il fallimento di un imprenditore in stato di insolvenza non attuale, ma che potrà manifestarsi con certezza in un arco temporale ristretto (c.d. insolvenza prospettica), la medesima valutazione può compiersi anche per escludere l’insolvenza nel caso di difficoltà temporanea, superabile attraverso l’ordinaria prosecuzione dell’attività di impresa. La necessità di una valutazione prospettica si rende necessaria, quindi, per distinguere una difficoltà transitoria dall’incapacità strutturale e permanente.
In ordine all’onere probatorio, così come in sede civilistica, anche in sede prefallimentare il debitore deve fornire la prova della non imputabilità dell’inadempimento per escludere la ricorrenza dell’insolvenza. Tale onere deve considerarsi assolto quando l’imprenditore, ad esempio, dimostri – come nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Benevento – la titolarità di crediti certi, liquidi ed esigibili nei confronti della P.A., dal momento che la prassi dei ritardi nei pagamenti da parte del P.A. rappresenta una causa estranea alla sfera di controllo del debitore, che rende l’inadempimento non imputabile. Sul piano finalistico, peraltro, tale soluzione permette all’impresa di continuare a operare sul mercato e consente ai creditori di essere soddisfatti in maniera fisiologica e più rapida rispetto alla procedura concorsuale.
Nell’indagine sull’insolvenza prospettica, le procedure devono essere intese non per porre rimedio, ex post, a situazioni dannose, bensì, anche alla luce delle direttive europee, come strumenti di emersione tempestiva della crisi con lo scopo di ridurre al minimo l’impatto della stessa e il pregiudizio delle ragioni creditorie. Secondo il Tribunale di Benevento, l’irreversibilità della crisi consiste sempre in una previsione negativa sulla possibilità di integrale soddisfazione dei creditori, in presenza, tuttavia, di un limbo, spesso ricorrente, in cui la crisi non si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori.
Diviene, quindi, importante capire quando si è di fronte alla c.d. insolvenza prospettica o a una vera e propria crisi, più o meno grave, posto che la prima è legata a un orizzonte temporale molto contenuto, perché quanto più la prognosi è lontana nel tempo, tanto più si possono inserire nel meccanismo imprenditoriale fattori nuovi e imprevedibili. A tal proposito, secondo il Trib. di Benevento, nel DLgs. 14/2019, recante il Codice della crisi e dell’insolvenza, in vigore a partire da agosto 2020, l’insolvenza prospettica rileva ai fini della segnalazione dell’organo di controllo o dei creditori istituzionali (artt. 14 e 15 del DLgs. 14/2019). Finalità precipua del nuovo costrutto è, infatti, il risalto di tale condizione nell’ambito delle misure di allerta (cfr. artt. 12 e ss. del DLgs. 14/2019), al fine di adottare, tempestivamente, gli strumenti di prevenzione e non, invece, quello di provocare una declaratoria di liquidazione giudiziale di tutte le imprese, che, in una prospettiva anche prossima (di 6 mesi), potrebbero non essere in grado di far fronte alle scadenze dei propri debiti.
L’insolvenza prospettica deve, quindi, essere declinata con prudenza, tenendo conto della situazione in cui versa l’impresa e della sua eventuale complessità (cfr. Trib. Milano 3 ottobre 2019).