Al fine dei controlli, è richiesto l’espresso riferimento alla norma agevolativa

Di Pamela ALBERTI e Gianluca ODETTO

La disciplina del nuovo credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, riguardante gli acquisti effettuati già a partire dallo scorso 1° gennaio 2020, prevede, a differenza di quanto previsto per i super e iper-ammortamenti, l’indicazione nella fattura di acquisto del bene di un’apposita dicitura.

Nello specifico, l’art. 1 comma 195 della L. 160/2019 stabilisce che “ai fini dei successivi controlli, i soggetti che si avvalgono del credito d’imposta sono tenuti a conservare, pena la revoca del beneficio, la documentazione idonea a dimostrare l’effettivo sostenimento e la corretta determinazione dei costi agevolabili. A tal fine, le fatture e gli altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere l’espresso riferimento alle disposizioni dei commi da 184 a 194”.

Tale obbligo riguarda l’acquisto di tutti i beni strumentali agevolabili, sia quelli materiali “ordinari”, compresi i beni di valore inferiore a 516,46 euro (già oggetto dei super-ammortamenti), che quelli materiali e immateriali “4.0”. Il primo caso (beni ex super ammortizzabili, ai quali è associato il credito d’imposta del 6%) è, naturalmente, quello di gran lunga più frequente, coinvolgendo peraltro non solo le imprese, ma anche gli esercenti arti e professioni.
Pertanto, le fatture e gli altri documenti relativi all’acquisizione dei beni agevolati devono contenere una dicitura specifica recante il riferimento alla disposizione agevolativa, quale ad esempio “Bene agevolabile ai sensi dell’art. 1 co. 185 della L. 160/2019” per gli investimenti in beni materiali “ordinari”.
In questa prima fase di operatività dell’agevolazione potrebbe quindi essere utile inviare al fornitore del bene una comunicazione, richiedendo espressamente l’inserimento della suddetta dicitura in uno dei campi descrittivi della fattura elettronica di acquisto del bene agevolabile (ad esempio, nel campo “Causale”).

Quanto agli effetti della mancata indicazione della dicitura in fattura, dalla formulazione normativa non appare chiaro se tale onere documentale sia previsto o meno a pena di decadenza del beneficio. La norma, come detto, dispone la revoca se manca “la documentazione idonea a dimostrare l’effettivo sostenimento e la corretta determinazione dei costi agevolabili”, prevedendo poi un secondo periodo in base al quale, “a tali fini” (dovrebbero essere tali i fini di controllo specificati nell’incipit della norma), le fatture devono menzionare la norma di riferimento dell’agevolazione. A rigore, quindi, solo nel primo caso, e non nel secondo, opererebbe la decadenza.

Diversamente, nell’ambito delle disposizioni attuative della Sabatini-bis, l’art. 10 del DM 27 novembre 2013 dispone espressamente che “la fattura che, nel corso di controlli e verifiche, venga trovata sprovvista di tale dicitura, non è considerata valida e determina la revoca della quota corrispondente di agevolazione”.
Con riferimento al credito d’imposta per le aree svantaggiate di cui all’art. 8 della L. 388/2000, nonostante l’assenza di un’espressa disposizione relativa all’inserimento della dicitura pena la revoca del beneficio, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 41/2001 (§ 4) aveva però affermato che “Su ogni fattura di acquisto riguardante beni ovvero servizi per i quali è applicata l’agevolazione di cui all’art. 8 della l. 23 dicembre 2000, n. 388, deve essere apposta, a pena di revoca dell’agevolazione, con scrittura indelebile, anche mediante apposito timbro, la dicitura: «Bene acquistato con il credito di imposta di cui all’art 8 della l. 388/2000 (…)»” (cfr. anche circ. n. 38/2002, risposta 2.1).

La Cassazione, con l’ordinanza n. 25905/2017, ha tuttavia affermato che le circolari ministeriali non costituiscono fonte di diritto e, pertanto, non possono imporre al contribuente adempimenti non espressamente previsti dalla legge e men che meno istituire cause di revoca dell’agevolazione fiscale non contenute in una norma di legge, dichiarando quindi illegittimo il recupero di un credito di imposta ex art. 8 della L. 388/2000 in ragione dell’assenza della dicitura nella fattura di acquisto del bene prevista dalla circ. n. 41/2001.
Del resto, con riferimento al successivo credito d’imposta per le aree svantaggiate ex art. 1 commi 271-279 della L. 296/2006, non è stato più previsto l’onere della dicitura in fattura a pena di decadenza dal beneficio (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 38/2008, § 10).

Considerata la delicatezza della questione, si auspica comunque che con riferimento al nuovo credito d’imposta ex L. 160/2019 vengano forniti al più presto chiarimenti ufficiali sul punto. In ogni caso, un approccio flessibile appare ragionevole, tenuto conto:
– da un lato, che la quantificazione del credito può agevolmente essere ricostruita al termine del 2020 con appositi prospetti ad hoc, nei quali inserire le fatture di acquisto, i costi sostenuti e il credito spettante;
– dall’altro, che rimane pur sempre valido il principio contenuto nell’art. 3 comma 2 della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), che impone di non prevedere adempimenti a carico dei contribuenti nei 60 giorni successivi all’entrata in vigore delle leggi che li istituiscono, per cui una lettura estensiva della disposizione potrebbe autorizzare da parte dell’Amministrazione un periodo di tolleranza.