Orientamenti restrittivi, in particolare, sull’efficacia dell’operazione e sugli errori di costruzione delle categorie omogenee
Negli ultimi tempi la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha analizzato – con orientamenti generalmente restrittivi – alcuni aspetti legati alla rivalutazione dei beni.
Risulta quindi utile richiamare alcuni di questi principi, nell’ottica della rivalutazione dei beni da effettuare, su base volontaria, nei bilanci al 31 dicembre 2019 ai sensi dell’art. 1 commi 696 ss. della L. 160/2019 (legge di bilancio 2020).
Una prima tematica riguarda la rivalutazione solo civilistica. Per la legge di rivalutazione contenuta nella L. 147/2013 e quelle successive, che sul punto hanno la medesima formulazione, l’Agenzia delle Entrate ha escluso la possibilità di rivalutare i beni ai soli fini civilistici (circolare n. 14 del 27 aprile 2017), per cui i soggetti che hanno così operato, non versando l’imposta sostitutiva, sono esposti al potenziale recupero dell’imposta stessa.
La posizione dell’Agenzia delle Entrate è confermata dalla prima giurisprudenza in materia (C.T. I° Trento n. 78/2/19 del 7 luglio 2019). Trattasi, chiaramente, di una sentenza di primo grado, per cui occorrerà valutare se questo orientamento si consoliderà o, al contrario, verrà rettificato.
Un secondo tema in discussione riguarda l’efficacia della rivalutazione dei beni d’impresa. La Corte di Cassazione ha stabilito, con la sentenza n. 32592 del 12 dicembre 2019, che l’operazione si perfeziona con l’indicazione dei maggiori valori assoggettati a imposta sostitutiva nella dichiarazione dei redditi, e ciò indipendentemente dal regolare e tempestivo versamento dell’imposta sostitutiva stessa.
Il caso esaminato dalla Suprema Corte risulta particolare, in quanto verteva sulla situazione di un’impresa individuale che, a fronte di una asserita rivalutazione, non aveva né compilato il quadro RY della dichiarazione, dove andavano riepilogati i dati dell’operazione, né versato l’imposta, provvedendo poi al versamento tardivo con il ravvedimento.
Ad avviso della Corte di Cassazione, l’omissione degli adempimenti dichiarativi risulterebbe decisiva per stabilire l’inefficacia della rivalutazione, non potendo questa essere surrogata dal comportamento concludente del contribuente.
Il contenuto della sentenza deve, però, probabilmente essere contestualizzato alla particolare situazione. La più recente giurisprudenza di Cassazione in materia di errori dichiarativi (sentenze n. 23993 del 3 ottobre 2018 e n. 1291 del 18 gennaio 2019) ha infatti stabilito che l’errore dichiarativo, se concernente una opzione, può essere emendato (anche in fase contenziosa) se l’errore stesso è essenziale e riconoscibile dalla controparte.
Posto che la controparte è l’Agenzia delle Entrate, appare legittimo sostenere che, se il quadro della dichiarazione con i dati della rivalutazione (oggi il quadro RQ) non è stato compilato, ma l’omissione viene regolarizzata ex post con il ravvedimento, la rivalutazione dovrebbe essere efficace se esistono fatti evidenti e riconoscibili (versamento dell’imposta sostitutiva, risultanze dei bilanci d’esercizio, ecc.) dai quali risulta incontrovertibile la volontà dell’impresa di avvalersi delle disposizioni speciali in materia.
Un terzo tema riguarda le rivalutazioni incomplete. Per l’Agenzia delle Entrate (da ultimo, circ. n. 14/2017), l’operazione, di regola, è inefficace se non vengono rivalutati tutti i beni facenti parte della medesima categoria omogenea (tale decadenza riguarda, naturalmente, la sola categoria “costruita male”, e non la rivalutazione nel suo complesso); l’impresa può, tuttavia, evitare la caducazione degli effetti della rivalutazione se, in sede di accertamento, provvede al versamento dell’imposta sostitutiva non versata sul bene illegittimamente escluso, maggiorata di sanzioni e interessi.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, tuttavia, l’assolvimento ex post dell’imposta non comporta anche il riconoscimento del maggior valore relativo ai beni esclusi dalla rivalutazione, in quanto il maggior valore di tali beni non è stato imputato a capitale o accantonato nella speciale riserva a titolo di saldo attivo di rivalutazione.
Era stata, quindi, superata l’indicazione della circolare n. 57 del 18 giugno 2001 (§ 1.6), secondo cui l’inefficacia non poteva in alcun modo essere sanata.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21349 del 21 ottobre 2015, ha però riconosciuto valido l’orientamento della suddetta circolare n. 57/2001, ritenendo quindi legittimi i recuperi d’imposta operati sugli ammortamenti e sulle plusvalenze (a una rivalutazione inefficace consegue, infatti, il mantenimento dei valori fiscali dei beni che preesistevano all’operazione).
Occorre, quindi, prestare una particolare attenzione alla corretta costruzione delle categorie omogenee (fatto per nulla semplice soprattutto per le rivalutazioni immobiliari), al fine di evitare contestazioni (peraltro formalistiche).