In una circolare le osservazioni di Assonime in merito ai quick fixes operativi dal 2020

Di Simonetta LA GRUTTA

Con la circolare n. 29 di ieri, Assonime ha fornito un quadro generale delle novità introdotte dai “quick fixes”, efficaci a partire dal 1° gennaio 2020, con l’intento di omogeneizzare nei 28 Stati membri della Ue il quadro normativo per alcune operazioni intra-unionali.

L’associazione – anche in base a quanto desumibile dalle note esplicative della Commissione Ue, seppure ancora non definitive – descrive le caratteristiche di ciascuna delle quattro misure volute dal legislatore Ue, ne compara la portata con l’ordinamento interno vigente, anche alla luce della prassi, e conclude fornendo alcune osservazioni di carattere operativo.

Con riferimento ai mezzi di prova delle cessioni intra-Ue, l’analisi condotta porta a ritenere che questa possa essere fornita anche con mezzi diversi da quelli previsti dal nuovo art. 45-bis del Regolamento 282/2011. In verità, secondo la richiamata disposizione, il trasporto dei beni dallo Stato membro di origine a quello di destinazione parrebbe essere attestabile solo da documenti prodotti da soggetti terzi, indipendenti dalle parti dell’operazione di compravendita. Da ciò ne deriverebbe l’impossibilità di fornire la prova nel caso in cui il trasporto sia effettuato direttamente dal cedente o dal cessionario; conclusione, tuttavia, che non può considerarsi ammissibile e dunque apre ad ulteriori valide modalità di prova.

Secondo l’impostazione adottata in Austria e Germania, inoltre, l’eventuale mancanza della prova non dovrebbe compromettere l’applicazione del regime di non imponibilità, atteso che tutte le condizioni sostanziali siano state soddisfatte. Al fine di limitare i rischi, se la forza contrattuale lo consente, Assonime consiglia nuovamente di adottare clausole, ad esempio, che pongano a carico del cessionario uno specifico obbligo di comunicare l’eventuale mancata consegna dei beni, con impegno, in caso di omessa comunicazione, a risarcire il cedente per eventuali sanzioni irrogate da parte dell’Amministrazione finanziaria a seguito di verifica.

Posto che le nuove disposizioni sono contenute in un Regolamento Ue non vi è necessità di recepimento nell’ordinamento interno; tuttavia dovrebbe essere prossima la pubblicazione da parte del Dipartimento delle Finanze di alcune linee guida interpretative.
Obbligatoria, invece, ai fini del riconoscimento del regime di non imponibilità per le cessioni intra-Ue di beni, risulterà, a partire dal nuovo anno, l’iscrizione anche del cessionario al sistema VIES, secondo il disposto del modificato art. 138 della direttiva 2006/112/Ce, da recepire formalmente nelle disposizioni del DL 331/93. Secondo Assonime, in caso di mancato recepimento, le norme non sono suscettibili di immediata applicazione e ciò comporterebbe un disallineamento rispetto a quanto in vigore negli altri Stati membri per scongiurare il quale è chiesto un intervento dell’Agenzia delle Entrate nella forma di “dettagliate istruzioni operative”, oltre che, più in generale, del legislatore nazionale affinché le nuove disposizioni interne contemplino anche una procedura di regolarizzazione in caso di tardiva comunicazione del numero di partita IVA inserito nel VIES da parte dell’acquirente unionale (procedura che troverebbe riscontro nella giurisprudenza della Corte di giustizia Ue; ex multis, causa C-138/12 Rusedespred).

Parimenti obbligatorio è, secondo l’Associazione, il recepimento delle disposizioni di cui al nuovo art. 36-bis della direttiva IVA in tema di cessioni a catena nelle quali il trasporto dei beni è posto a carico dell’operatore intermedio (promotore). In questi casi, a determinate condizioni, solo alla cessione nei confronti di tale operatore intermedio può darsi natura di cessione intra-Ue non imponibile.

Tali norme non hanno incidenza sul regime semplificativo (designazione del debitore d’imposta) di cui agli artt. 42141 e 197 della direttiva IVA, né, a parere dell’Associazione, sulle previsioni di cui all’art. 58 del DL 331/93.
Meno complessa la situazione che attiene le semplificazioni connesse alle movimentazioni e alle cessioni di beni intra-Ue in esecuzione di contratti di “call-off stock”, ossia di quei contratti in base ai quali il venditore trasferisce una certa quantità di beni (stock) presso un luogo a disposizione di un acquirente in un altro Stato membro (senza che ciò comporti per il venditore il sorgere di obblighi di identificazione ai fini IVA in tale Stato), il quale può prelevare detti beni in base alle proprie necessità, acquisendone la proprietà al momento del prelievo e determinando l’effettuazione dell’operazione intra-Ue.

Tali semplificazioni, le quali riconoscono l’unicità dell’operazione – nonostante la movimentazione dei beni ed il passaggio della proprietà avvengano in tempi distinti – evitando gli aggravi che determinerebbe l’obbligo di identificazione IVA da parte del venditore nello Stato in cui invia le merci, sono state già da tempo riconosciute dall’Agenzia delle Entrate in via interpretativa per i contratti di consignment stock, sostanzialmente equiparabili a quelli in parola. Secondo Assonime, pertanto, anche in assenza di un recepimento tempestivo da parte del legislatore nazionale delle disposizioni del nuovo art. 17-bis della direttiva IVA, sarebbe sufficiente una conferma dell’applicabilità delle istruzioni precedenti anche alle fattispecie regolate dai contratti di call-off stock.