Prevalenza dei flussi e tutela dei livelli occupazionali nel concordato misto

Di Antonio NICOTRA

La predisposizione di concordati misti, nei quali il soddisfacimento dei creditori è garantito attraverso i ricavi derivanti dalla continuità (diretta o indiretta) e dalla liquidazione di determinati beni dell’impresa, solleva il problema dell’individuazione delle condizioni al ricorrere delle quali il concordato possa considerarsi, prevalentemente, liquidatorio ovvero in continuità, per trarne le conseguenze sulla disciplina applicabile.

Il Tribunale di Milano, con decreto 28 novembre 2019, ha affrontato il tema anche alla luce delle novità introdotte, dal 15 agosto 2020, con il DLgs. 14/2019.
Rammentano i giudici come l’attuale disciplina di cui al RD 267/42, non fornisca chiarimenti sulle condizioni atte ad individuare la prevalenza del carattere continuativo, ovvero liquidatorio. Ciò determina delle difficoltà sulla disciplina applicabile al concordato misto.

In ragione dei principi civilistici in tema di contratto c.d. misto, parte della giurisprudenza ritiene possibile che le discipline del concordato in continuità e liquidatorio si combinino integrandosi tra loro.
Per altri, invece, le differenze – come la percentuale di soddisfacimento dei creditori – non consentono tale soluzione. Sul tema, si registrano due prevalenti orientamenti: il primo considera la prevalenza in termini quantitativi (cfr. Trib. Chieti 2 dicembre 2019), a seconda che le risorse per i creditori provengano dalla liquidazione, o dalla prosecuzione dell’attività. Il secondo, invece, intende la prevalenza in termini “qualitativi o funzionali” per cui, indipendentemente dalle modalità di soddisfacimento dei creditori, se esiste un’azienda in vita – non pregiudizievole ai creditori – è necessario garantire la conservazione dell’impresa (sul tema, cfr. Trib. Como 27 febbraio 2018, Trib. Torre Annunziata 29 luglio 2016 e Trib. Ancona 20 giugno 2016).

Nel DLgs. 14/2019, in vigore dal 15 agosto 2020, secondo il Tribunale di Milano, la prima tesi (prevalenza quantitativa) sembrerebbe trovare riscontro nel comma 3, primo periodo, dell’art. 84 del DLgs. 14/2019 secondo il quale “nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”. Tale soluzione, d’altra parte, si scontra con le realtà in cui, ad esempio, il valore degli immobili da destinare ai creditori superi i flussi di cassa generati dalla continuità. La norma prevede che nel concordato in continuità i creditori vengono “soddisfatti” in misura prevalente dal “ricavato prodotto” dalla continuità, ivi inclusa – secondo i giudici di Milano – la “cessione del magazzino” (annoverabile come liquidazione delle rimanenze).

Fermo restando che, per definizione, la continuità sussiste quando i flussi di cassa sono prevalenti rispetto ai controvalori della liquidazione degli assets non strategici, la continuità potrebbe, inoltre, configurarsi qualora il “soddisfacimento”, diverso da quello monetario, complessivamente inteso, sia maggiore del ricavato della liquidazione degli altri beni. Il secondo periodo del comma 3 dell’art. 84 del DLgs. 14/2019 – in apparente contrasto al primo – afferma che, indipendentemente dalla quantità dei ricavi prodotti dalla continuità (e dal loro rapporto con i beni in liquidazione), una continuità diretta sussiste sempre qualora per 2 anni siano impiegati la metà dei lavoratori in forze.

La presunzione iuris et de iure induce a ritenere che, per salvaguardare i posti di lavoro, l’interesse dei chirografari ad una percentuale di soddisfacimento pari almeno al 20% delle proprie ragioni è subvalente rispetto alla prosecuzione dell’attività. Il terzo periodo della norma stabilisce la necessità di assicurare un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile a favore di ciascun creditore (cfr. l’art. 161 comma 2 lett. e) del RD 267/42), mentre il quarto periodo precisa che tale utilità può anche consistere nella prosecuzione dei rapporti contrattuali in corso.

In tali ipotesi, quindi, nel piano devono essere considerati, ai fini della “prevalenza”, come “ricavato prodotto dalla continuità”, i valori dei rapporti contrattuali in essere, con una logica non dissimile a quella della salvaguardia dei lavoratori (tutela del tessuto produttivo dell’impresa).

Concludono i giudici, quindi, che il DLgs. 14/2019 ha adottato un criterio di prevalenza “quantitativa attenuata”, in cui, da una parte, acquistano rilievo le modalità di creazione delle risorse (liquidazione o ricavi della continuità) – dovendo, “i ricavi attesi”, essere sempre superiori ai valori della liquidazione – dall’altra parte, è ampliata l’area del “ricavato prodotto dalla continuità”, facendovi rientrare anche il magazzino, i rapporti contrattuali e quelli di lavoro.

Il Tribunale di Milano, applicando i principi del DLgs. 14/2019 (in vigore dal 15 agosto 2020) al caso di specie, ha accolto la proposta in cui veniva attestato che i ricavi attesi dalla continuità sarebbero derivati da un’attività d’impresa con addetti un numero di dipendenti superiore alla metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il ricorso, ritenendo il concordato in continuità indiretta.