Principio condivisibile solo se la firma non sia desumibile da altri elementi

Di Caterina MONTELEONE

Per garantire il corretto funzionamento del processo tributario telematico, obbligatorio per gli atti processuali introduttivi notificati a mezzo PEC dal 1° luglio 2019, sono state previste alcune regole formali che devono essere rispettate.

In particolare, i ricorsi introduttivi devono essere predisposti nel formato c.d. “nativo digitale”, sottoscritti digitalmente dal difensore e devono essere notificati a mezzo PEC. All’atto della costituzione in giudizio, inoltre, sia gli atti processuali che gli allegati devono essere firmati digitalmente dal difensore.

Nonostante il legislatore non abbia previsto una sanzione per il mancato rispetto delle regole introdotte per il corretto funzionamento del processo telematico, dall’analisi delle recenti sentenze si ha conferma che la violazione di tali regole espone la parte al rischio di incorrere in una sentenza di inammissibilità.

In tale filone giurisprudenziale si inserisce una recente pronuncia della C.T. Reg. Milano 25 settembre 2019 n. 3609/22/19, con la quale i giudici hanno dichiarato inammissibile un atto di appello per difetto di sottoscrizione, in quanto era stato redatto in formato cartaceo, salvo poi essere notificato e depositato telematicamente, ma senza firma digitale.

Nella sentenza non viene chiarito se l’appello fosse stato sottoscritto dal difensore a mano, conformemente alle regole previste per il processo analogico, o se mancasse anche di tale requisito, ciononostante la decisione è, quantomeno, discutibile in quanto si pone in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale che si è consolidato in vigenza del processo analogico.
Se è vero che, secondo le regole introdotte con il DLgs. 546/92, la sottoscrizione è prevista a pena di inammissibilità, è altresì vero che tale principio deve essere inteso seguendo una logica “conservativa” degli atti processuali. Infatti, l’art. 18 comma 4 del DLgs. 546/92 dispone che “il ricorso è inammissibile se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2, ad eccezione di quella relativa al codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata, o non è sottoscritto a norma del comma precedente”.

L’inammissibilità può essere dichiarata solo quando la sottoscrizione difetti sia nell’originale notificato che nella copia utilizzata per la costituzione in giudizio.
Pur mancando la sottoscrizione digitale nell’atto notificato, la firma digitale è stata sicuramente apposta all’atto della costituzione in giudizio, in quanto l’omessa sottoscrizione ne avrebbe impedito il deposito.

Questo elemento avrebbe dovuto, quindi, escludere l’inammissibilità, siccome i principi interpretativi finora richiamati non sono stati superati dall’introduzione del telematico, ma, a contrario, devono essere “adeguati” alla nuova tecnologia.
Peraltro, i menzionati vizi non hanno compromesso la difesa della controparte.

Sotto altro profilo si ritiene che la sentenza non abbia considerato il principio sotteso all’art. 182 c.p.c. (richiamato dall’art. 12 del DLgs. 546/92).
Il giudice, se rileva un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione o un vizio della procura, deve invitare la parte a regolarizzare la propria posizione entro un termine perentorio e “l’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”.
Detto inciso può facilmente essere esteso al difetto di sottoscrizione, difetto di sottoscrizione che, comunque, nemmeno sussiste se la firma digitale viene apposta in sede di costituzione in giudizio.