Per tutti i soggetti della struttura societaria vi è un obbligo di operare nel rispetto degli standard etici previsti dal codice di condotta

Di Annamaria RONCARI

In un momento di rapido cambiamento e di ricerca di valori morali da portare come “vessillo” della propria identità individuale o collettiva, non si può non soffermarsi sul mutamento che investe anche l’impresa.

Se, fino pochi anni fa, lo scopo delle società di capitali era realizzare utili da distribuire fra i soci proporzionalmente alla loro partecipazione nel capitale di rischio, emerge ora in modo sempre più prepotente l’esigenza di coinvolgere nel valore aziendale tutti gli stakeholder che, in qualche modo, apportano un loro contributo nel raggiungimento dell’iniziativa economica.

In questa concezione allargata, l’impresa deve porsi l’obiettivo di soddisfare anche le persone e i soggetti che non hanno un legittimo interesse verso l’impresa ma possono condizionarne l’economicità o sono condizionati dall’attività economica che essa svolge.

La manifestazione più evidente di questa esplosione dell’etica d’impresa si è concretizzata nei cosiddetti Codici etici: migliaia di imprese in tutto il mondo si sono dotate e si stanno dotando di propri codici di comportamento, per tali intendendosi un gruppo di norme create dall’impresa o da una categoria di imprese al fine di uniformare la loro condotta ai principi nel Codice stesso contenuti.

In particolare, nello stretto ambito applicativo del DLgs. 231/2001, il Codice etico, oltre a diventare elemento essenziale del “Modello di organizzazione, gestione e controllo”, introduce in maniera forte, per tutti i soggetti incardinati nella struttura societaria, un generale obbligo di operare nel rispetto degli standard etici previsti dal Codice di condotta ben sapendo che un comportamento in senso difforme può determinare l’irrogazione di sanzioni disciplinari variamente graduate.

Sulla base delle precedenti considerazioni ci si deve allora chiedere se l’unico scopo dell’impresa sia oggi ancora solo quello di creare profitti o, più verosimilmente, quello di utilizzare strumenti adeguati per prevenire responsabilità ma anche utili per creare un comportamento virtuoso che consenta di dare un sostanziale contributo alla creazione di valore aziendale, non solo economico.

Il Codice etico deve diventare uno dei fondamenti su cui ruota la filosofia della singola impresa e il riferimento concreto dell’organizzazione aziendale in ogni singola scelta gestionale concreta.
È allora interessante analizzarne la radice etimologica (dal greco antico èthos: “carattere”, “comportamento”, “costume”, “consuetudine” ma anche “posto da vivere”, “inizio”, “apparire”, “disposizione”) per comprendere l’origine del Codice etico come insieme di “regole di comportamento” (autonomamente attribuite dal singolo ente indipendentemente dalle norme vigenti) imprescindibili dal suo “apparire all’esterno”.

Secondo questa impostazione, il Codice etico rappresenta un “contratto sociale” tra l’impresa e i suoi stakeholder e ha la funzione di legittimare l’autonomia dell’impresa ai diversi stakeholder rendendo note e accessibili le notizie circa le politiche sviluppate e le pratiche aziendali adottate coerentemente agli obblighi assunti; esso è in grado di attuarle attraverso appropriate strutture organizzative e farle rispettare con il supporto di un apposito sistema sanzionatorio. Si genera dunque una relazione bidirezionale dell’azienda verso le categorie di stakeholder, consistente nel flusso informativo, e dagli stakeholder verso l’azienda, mediante l’offerta di consenso e legittimazione.

In un tale contesto appare ormai chiaro come i fattori esterni (ambientali, sociali, etici e geopolitici) diventino sempre più rilevanti per le imprese e, in generale, per il mondo economico e finanziario. Essi non possono più riguardare solo “buone azioni” da comunicare, ma devono diventare parametri permanenti nella definizione delle strategie di impresa e dei piani industriali nell’ottica di perseguimento di uno sviluppo sostenibile.

Variabili come il capitale naturale e quello sociale sono parametri irrinunciabili per una completa analisi dei rischi, degli impatti e delle prospettive future del proprio business. L’emanazione di provvedimenti diretti a far emergere tali dati, sempre che non si riducano a un ennesimo adempimento, diventano essenziale stimolo per l’integrazione dei fattori ambientali e sociali nelle attività delle imprese.

La Corporate social responsibility (CSR) diventa quindi una scelta strategica delle imprese, un indice di solidità e trasparenza che sta diventando un fattore di competitività aziendale e un contributo all’innovazione per il raggiungimento del bene comune.

Questi argomenti e altri approfondimenti sono trattati nella nuova edizione del manuale “Modello organizzativo DLgs. 231/2001 e Organismo di Vigilanza” a cura del Gruppo multidisciplinare dell’ODCEC Torino sul sistema dei controlli nelle società ed enti e DLgs. 231.