La Cassazione conferma una nozione ampia di «lavoratore», indipendente dalla tipologia contrattuale
Secondo la giurisprudenza in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma dì risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Cass. SS.UU. n. 38343/2014).
In un caso affrontato dalla Cassazione con sentenza n. 39741, depositata lo scorso 27 settembre, è stata così confermata la responsabilità ex art. 25-septies del DLgs. 231/2001 di una società immobiliare, per la violazione dei doveri di valutazione dei rischi da parte di due soggetti apicali (rispettivamente datore di lavoro di fatto e consigliere di amministrazione), i quali, pur essendo nelle condizioni di conoscere le peculiarità di una finestratura già in precedenza abusivamente modificata, consultarono informalmente un geometra (al quale non chiesero neppure l’effettuazione di una valutazione strutturale) e, sulla base del suo parere verbale, omisero di richiedere l’autorizzazione al Comune, di depositare il progetto dell’intervento al Genio Civile, di attivare le cautele e i rinforzi previsti dagli artt. 150 e 151 del DLgs. 81/2008.
Gli stessi si rivolsero, infatti, a un singolo muratore (divenuto vittima dell’infortunio) per l’esecuzione – da solo, senza le necessarie informazioni e in mancanza delle necessarie cautele – di un’operazione di smontaggio di un infisso di grandi dimensioni, i cui montanti per di più sostenevano un pannello prefabbricato del peso di una tonnellata e mezza.
Da ciò è derivata la contestazione, innanzitutto a tali persone fisiche, di avere cagionato il decesso di un artigiano operante in regime di eterodirezione, per colpa generica nonché per violazione di numerose norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro previste dal DLgs. 81/2008 e, segnatamente, quelle relative ai doveri di formazione e d’informazione dei lavoratori (artt. 36 e 37), quella relativa all’obbligo di porre a disposizione del lavoratore attrezzature idonee ed adatte allo scopo (art. 71 comma 1), quella relativa all’obbligo di nominare un coordinatore in fase d’esecuzione per lavori affidati a più di una impresa (art. 90 comma 4), quella relativa all’obbligo di redazione del piano operativo di sicurezza, con connessa valutazione dei rischi (art. 96 comma 1), quella che fa obbligo di trasmettere al Comune, prima dell’inizio dei lavori, copia della notifica preliminare (art. 90 comma 9), quella che fa obbligo di rafforzare le strutture oggetto di rimozione degli infissi (art. 150) e quella relativa all’obbligo di eseguire i lavori di demolizione con le dovute cautele, sotto la sorveglianza di un preposto, in modo da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento e seguendo un programma di successione dei lavori (art. 151).
Si noti che la sentenza in commento precisa altresì che la definizione di “lavoratore”, di cui all’art. 2 comma 1 lett. a) del DLgs. 81/2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale; ne consegue che, ai fini dell’applicazione delle norme incriminatrici, rileva l’oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell’impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell’imprenditore, a prescindere dal fatto che il “lavoratore” possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo.
In tale contesto, per i giudici di legittimità è di tutta evidenza che le condotte poste in essere procurarono, quanto meno oggettivamente, un vantaggio economico alla società, in termini di risparmio di spesa, rispetto a ciò che sarebbe costata l’esecuzione dei lavori a norma. Al contrario, non ha pregio l’argomento della società ricorrente secondo il quale non vi era alcun fine di risparmio: in primo luogo perché, come si è visto, è sufficiente ad integrare la responsabilità ex art. 5 del DLgs. 231/2001 anche l’imputazione oggettiva rappresentata dal vantaggio ottenuto in seguito alla violazione di norme prevenzionistiche; in secondo luogo perché non può essere esclusa la finalità di risparmio solo perché i due imputati si erano rivolti a un tecnico, atteso che a costui non era stata richiesta alcuna valutazione strutturale, come invece sarebbe stato doveroso (valutazione che avrebbe avuto verosimilmente effetti salvifici se correttamente eseguita).