Privacy sempre più a rischio con ISA e indagini finanziarie

Le conseguenze derivanti dai voti bassi degli ISA mettono a dura prova il rispetto delle garanzie della CEDU

Di Alberto CALZOLARI

L’introduzione nell’ordinamento tributario nazionale degli indici sintetici di affidabilità fiscale del contribuente (ISA) ripropone la necessità di un’urgente riflessione sulla tutela della riservatezza del cittadino.

È impressionante la mole di dati personali presenti nell’Anagrafe tributaria (molti dei quali hanno natura extra fiscale) ed è essenzialmente privo di ostacoli l’accesso ai dati bancari dei cittadini da parte dell’Amministrazione finanziaria. Si rammenta che i dati grezzi (in breve, saldo iniziale e finale, e flussi annuali di ogni posizione finanziaria) alimentano automaticamente l’Archivio dei rapporti finanziari, cui il personale delegato dell’Amministrazione finanziaria può liberamente accedere. Mentre, per le indagini finanziarie, l’attuale normativa si limita a richiedere l’autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento o del direttore regionale, nel caso di attivazione da parte dell’Agenzia delle Entrate e del comandante regionale nel caso in cui la richiesta per procedere all’indagine provenga dai reparti operativi della Guardia di Finanza (ex art. 32 del DPR 600/73).

Deve destare particolare allarme la pervasività delle indagini finanziarie, laddove possono essere disvelati i dati sensibili dei cittadini, compresi quelli afferenti a tutti gli aspetti più intimi: le causali delle singole movimentazioni sono idonee ad evidenziare le preferenze dei cittadini sui temi politici, etici, religiosi, le condizioni di salute, le preferenze sessuali, ed ogni altro aspetto caratterizzante la vita dell’individuo.

Appare indispensabile guardare alle sentenze delle Alte Corti europee per apprestare la tutela che il nostro ordinamento ignora: si pensi che l’attuale orientamento della Cassazione svilisce la funzione dell’autorizzazione alle indagini finanziarie, negando la necessità di mostrarla al contribuente e sostenendo che l’assenza di autorizzazione non inficia la validità del successivo atto d’accertamento.

In particolare, è nelle sentenze della Corte EDU che possiamo trovare gli strumenti prontamente utilizzabili dal difensore avanti la giurisdizione tributaria italiana (o, in seconda battuta, direttamente a Strasburgo; per approfondimenti sul tema si rimanda a “Dalla giurisprudenza della Corte Europea una copertura dinamica ai diritti del cittadino contribuente” nel n. 6/2018 della rivista “L’Accertamento”).

La Corte europea assicura la piena assimilazione della protezione dei dati personali nella sfera della vita privata, quindi alla stregua della tutela del domicilio e della corrispondenza, ex art. 8 della CEDU. Ai nostri fini rivestono un’importanza peculiare quelle sentenze che hanno riconosciuto ai dati bancari “una piena dignità”, ossia un grado di tutela pari a quello dei dati personali tout court. Lo Stato può accedere ai dati bancari dei cittadini solo con il rispetto delle consuete regole che legittimano la compressione dei diritti fondamentali CEDU, ossia la riserva di legge in senso sostanziale e il principio di proporzionalità.

Si rammentano due sentenze di condanna dello Stato per violazione dell’art. 8 della CEDU, proprio nell’ambito delle indagini bancarie: la Corte EDU del 7 luglio 2015 e quella del 27 aprile 2017. In esse è chiaramente affermato che i dati bancari (anche qualora riguardino solo aspetti professionali del contribuente) sono parte della vita privata di cui all’art. 8, e al cittadino deve essere assicurato un controllo effettivo sulla legittimità dell’intrusione nella sua sfera giuridica. Questo avviene attraverso il diritto di sottoporre, in via immediata, all’esame di un giudice il provvedimento di autorizzazione all’accesso, che deve essere conforme alla legge e motivato in ordine agli indizi di violazione della medesima: solo se c’è proporzione tra il sacrificio della riservatezza e il rilievo delle violazioni, l’indagine bancaria può essere ritenuta legittima.

Con l’introduzione degli ISA l’ordinamento tributario italiano pare aver compiuto un nuovo passo verso metodologie di controllo in grado di bypassare ogni garanzia per i contribuenti (per approfondimenti sul tema si rimanda a “Indici sintetici di affidabilità: un passo indietro per la tutela del contribuente” nel n. 4/2019 della rivista “L’Accertamento”).

In particolare, desta perplessità la possibilità offerta all’Amministrazione finanziaria di avvalersi dei bassi voti nella pagella ISA per giustificare gli accertamenti più invasivi. Conformemente all’art. 9-bis comma 14 del DL 50/2017 e al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 126200/2019 (sull’applicazione degli ISA al periodo d’imposta 2018) il voto minore o uguale a 6 serve a formare le liste dei contribuenti “a rischio”, da incrociare con i dati presenti nell’Archivio dei rapporti finanziari. Ne può scaturire la motivazione dell’autorizzazione all’indagine finanziaria, dunque all’accesso ai dati sensibili del contribuente in un contesto ordinamentale ancora sprovvisto delle garanzie imposte dall’art. 8 della CEDU ai Paesi firmatari della Convenzione, Italia inclusa.

2019-10-18T10:39:58+00:00Ottobre 18th, 2019|News|
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