La compromissione dell’indipendenza deve essere accertata dal Collegio o dall’assemblea
L’esigenza di accertare l’esistenza delle cause di decadenza dei sindaci vale anche per le situazioni di incompatibilità di cui all’art. 2399 comma 1 lett. c) c.c.
A stabilirlo è la Corte d’Appello di Catania, nella sentenza 8 ottobre 2019 n. 2175, facendo proprio un orientamento che si pone in contrasto con quello della Cassazione (cfr. Cass. n. 11554/2008), ma che sembrerebbe in linea con le indicazioni del CNDCEC (cfr. i criteri applicativi della Norma di comportamento n. 1.6 relativa ai sindaci di società non quotate).
La decisione in commento dichiara, primo luogo, di condividere, in linea generale, l’impostazione adottata dalla sentenza di primo grado (Trib. Catania n. 5009/2017), che aveva abbracciato l’interpretazione dottrinaria che, in tema di decadenza dei sindaci, propone un regime differenziato a seconda che si tratti di cause di decadenza “ordinarie”, ex art. 2399 c.c., o “sanzionatorie”, ex artt. 2404 e 2405 c.c. (mancata partecipazione in un esercizio, senza giustificato motivo, a due riunioni del collegio, alle assemblee, a due adunanze consecutive di cda o comitato esecutivo).
Sussisterebbero, infatti, nella decadenza sanzionatoria esigenze garantiste che impongono l’attivazione di un procedimento formale volto alla comminatoria della decadenza, laddove, in quella ordinaria, deve ritenersi nettamente prevalente l’interesse della società ad escludere l’operatività di un organo di controllo che risulti composto da soggetti che si trovino in oggettiva situazione di incompatibilità con tale interesse e che possano, in qualche modo, “inquinarlo”.
In particolare, secondo il giudice di primo grado, alla luce delle differenze tra le ipotesi di decadenza ex art. 2399 c.c. e quelle ex artt. 2404 e 2405 c.c., in queste ultime devono ritenersi prevalenti, rispetto alle esigenze della società (compresa quella di provvedere alla rapida sostituzione dei sindaci decaduti con i supplenti ex art. 2401 c.c.), quelle garantiste, volte a consentire al sindaco di addurre eventuali legittime cause di giustificazione della propria assenza ed alla società, in persona dei suoi organi, di valutare la sussistenza o meno di tali cause. Né può ritenersi che tale interpretazione possa determinare uno stato di incertezza sulla legittima costituzione dell’organo e, conseguentemente, sui provvedimenti dallo stesso adottati, nonché sulla sussistenza delle responsabilità inerenti alla carica. A tale stato di incertezza, infatti, potrebbero ovviare l’assemblea, assumendo le conseguenti decisioni, o gli stessi sindaci, presentando, ove non intenzionati a continuare nella carica, le loro dimissioni.
La decisione della Corte d’Appello in commento, peraltro, ritiene opportuno precisare come l’esigenza di accertare la sussistenza delle cause di decadenza valga anche per le ipotesi di decadenza cd. ordinaria di cui all’art. 2399 comma 1 lett. c) c.c., ovvero nel caso di sindaco legato alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza. In questi casi, osservano i giudici d’appello, la valutazione circa l’integrazione della fattispecie ha un inevitabile margine di discrezionalità tecnica, trattandosi di ravvisare o la sostanziale, e non meramente formale, continuità del rapporto o la compromissione dell’indipendenza di giudizio e di azione del sindaco.
Questa esigenza – al pari di quanto accade per le ipotesi di decadenza cd. sanzionatoria – non può comportare l’automatica operatività della decadenza, che non sia stata deliberata dal collegio sindacale o dall’assemblea, esplicitamente ovvero implicitamente, con la sostituzione del sindaco decaduto.
Tale soluzione si pone in contrasto – ed i giudici ne sono ben consapevoli – con la Cassazione n. 11554/2008, secondo la quale le cause di incompatibilità da cui sia colpito un sindaco, ex art. 2399 c.c., operano automaticamente, senza un procedimento di accertamento.
Secondo la Suprema Corte, infatti, non vi sarebbero ragioni decisive per ribaltare un risalente orientamento (cfr. Cass. n. 2009/1982), tanto più dopo che il legislatore – che pure in tema di spa quotate ha disposto al riguardo, espressamente stabilendo, nell’art. 148 comma 4-quater del DLgs. 58/1998, che la decadenza dei sindaci di tali società debba essere accertata dal cda o, in difetto, dalla Consob – in occasione della riforma del diritto societario ha rivisitato l’art. 2399 c.c. senza nulla indicare quanto ad un eventuale procedimento di accertamento della decadenza del sindaco colpito da incompatibilità; il che confermerebbe la già ritenuta non necessità di un siffatto procedimento accertativo e l’operare automatico delle ipotizzate cause di decadenza.
Secondo la Corte d’Appello di Catania, invece, l’impostazione fatta propria non sarebbe impedita dall’art. 148 comma 4-quater del DLgs. 58/1998, cosi come dall’art. 26 del DLgs. 385/1993, che regolamentano i termini e le modalità con cui deve essere dichiarata la decadenza dalla carica sindacale nelle spa quotate, ovvero nelle banche; non essendo tali disposizioni indicative di una volontà del legislatore nel senso della decadenza automatica (e, dunque, della non necessità di un accertamento anche nelle ipotesi in cui le cause della decadenza non siano dotate del crisma dell’oggettività) negli altri tipi di società.