Prededucibile il credito dell’attestatore nel fallimento

Resta irrilevante il superamento del vaglio di ammissibilità del concordato preventivo

Di Antonio NICOTRA

Con sentenza n. 25471, depositata ieri, la Cassazione ritorna sul tema delle conseguenze della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, ai fini del riconoscimento della prededuzione al credito del professionista che abbia assistito il debitore successivamente fallito. In linea con i recenti interventi della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. 7 ottobre 2019 n. 24953), la Suprema Corte riconosce il carattere prededucibile al credito maturato dal professionista, che – in pendenza del termine concesso dal tribunale ex art. 161 comma 6 del RD 267/42, a seguito del deposito della domanda di concordato in bianco –  sia stato incaricato dal debitore di redigere l’attestazione (comma 3 dell’art. citato), laddove, dichiarata inammissibile la domanda ex art. 162 del RD 267/42 (senza, quindi, che la procedura sia stata aperta ex art. 163 del RD 267/42), venga pronunciato il fallimento del debitore.

La Cassazione rammenta che l’art. 111 del RD 267/42 postula tre tipologie di crediti prededucibili: quelli classificati tali dalla legge, quelli sorti in occasione di una procedura concorsuale e quelli sorti in funzione della stessa. Per queste ultime due categorie, l’individuazione viene compiuta sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico, in termini di alternatività (Cass. n. 14713/2019).

Relativamente al concordato preventivo, l’art. 161 comma 6 del RD 267/42 consente al debitore di presentare una domanda di concordato “in bianco” e, nel termine fissato dal giudice, di presentare la proposta, il piano e la documentazione prevista dai commi 2 e 3. A mente del successivo comma 7, dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di apertura della procedura (art. 163 del RD 267/42), il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale (il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato). Nello stesso periodo e a decorrere dal medesimo termine, il debitore può compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Inoltre, ai sensi dell’art. 111 del RD 267/42, i crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili.

Per la Suprema Corte, il regime da riservare al credito del professionista è, quindi, quello della prededucibilità ex lege, senza che abbia rilievo la circostanza che il debitore abbia presentato in concreto un piano di concordato, ovvero che, come nella specie, la domanda non abbia generato l’apertura della procedura concordataria. Ciò trova fondamento, oltre che nella lettera della norma (art. 161 comma 7 del RD 267/42), anche nell’avvenuta abrogazione dell’art. 11 comma 3-quater del DL 145/2013 conv. L. 9/2014, quale norma di interpretazione autentica dell’art. 111 comma 2 del RD 267/42 (sul tema, Cass. n. 4859/2019).

La collocazione in prededuzione del credito del professionista richiede, in secondo luogo, l’accertamento della consecutività tra il concordato e la procedura successiva (Cass. n. 24953/2019). Tale consecutività viene meno solo se il fallimento consegua a un’insolvenza non riconducibile alla crisi originaria (discontinuità che, tuttavia, non è stata ravvisata nel caso di specie).

La Cassazione precisa che l’effetto automatico del riconoscimento della prededuzione opera solo se tali crediti derivino da “atti legalmente compiuti” dall’imprenditore che abbia chiesto di essere ammesso al concordato (in questa prospettiva si colloca anche la distinzione – inserita nell’art. 161 comma 7 del RD 267/42 – tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione).

Il giudice deve, quindi, verificare che il debitore non abbia abusato del concordato preventivo, aumentando la sfera della prededuzione e, quindi, alterando la par condicio creditorum, essendo pacifico il danno che i creditori anteriori possono subire con il depauperamento dell’attivo (e della correlata riduzione della garanzia patrimoniale) per effetto di una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili. Nel caso di specie, la pretesa creditoria nasce da un atto “legalmente compiuto” dall’imprenditore, dal momento che è previsto ex lege che la domanda concordataria sia (anche) corredata dall’attestazione del professionista.

Per la Suprema Corte, infine, la domanda di concordato c.d. “con riserva o in bianco” condivide – come emerge dalla littera legis – la medesima natura giuridica della domanda di concordato ordinaria. Il procedimento innescato con la domanda in bianco non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento articolato in due fasi, per così dire, “interne” (Cass. n. 14173/2019).
Muovendo da tale premessa, la natura prededucibile del credito del professionista può essere riconosciuta in quanto sorto “in occasione” di una procedura concorsuale (concordataria), trovando, in tal modo, collocazione in prededuzione nel successivo fallimento (Cass. 14713/2019).

2019-10-11T07:40:08+00:00Ottobre 11th, 2019|News|
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