Il curatore può escludere il credito dallo stato passivo eccependo l’inadempimento

Di Maurizio MEOLI

Non può considerarsi correttamente espletato l’incarico di sindaco di una società cooperativa a responsabilità limitata fallita quando:
– a fronte del mancato pagamento di ingenti debiti fiscali, ci si limiti a manifestare mere “preoccupazioni”, “invitando” a effettuare i versamenti;
– ci si appiattisca sulla “impossibilità di esprimere un giudizio” formulata dal revisore legale;
– in ordine a un’operazione di conferimento di tutte le attività della società in difficoltà in una snc si esprimano, prima, mere “perplessità” e, poi, nella consapevolezza dell’imminente realizzazione della stessa, si presentino le proprie dimissioni, lasciando che la stessa venga posta in essere.

Di conseguenza, il credito per la funzione sindacale può essere escluso dallo stato passivo del fallimento, sebbene appostato nel bilancio della società che non l’ha mai contestato e nonostante nessuna osservazione al riguardo sia stata espressa né nel piano attestato né nel concordato preventivo che avevano preceduto il fallimento. Sono queste le indicazioni che emergono dal decreto del Tribunale di Rimini del 23 luglio scorso.

Nel caso di specie, contro l’esclusione dallo stato passivo del proprio credito, il sindaco invocava, innanzitutto, l’avvenuto riconoscimento dello stesso da parte della società.
Rispetto a tale rilievo, il Tribunale ricorda come la Suprema Corte, nella sentenza n. 11197/2018, abbia precisato che l’elenco dei creditori previsto dall’art. 161 comma 2 lett. b) del RD 267/1942, depositato unitamente alla domanda di concordato preventivo, non può assumere valore confessorio nel successivo fallimento, in quanto gli effetti di una dichiarazione avente valore di confessione stragiudiziale si producono se e nei limiti in cui essa sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti: rispettivamente, autore e destinatario della dichiarazione. Non presenta rilievo, quindi, la circostanza che sia l’attestatore del piano, sia gli organi del concordato preventivo avessero tenuto presente il credito in questione, non competendo loro, ma alla società, il controllo sul corretto adempimento delle prestazioni che ne erano alla base.

Ciò premesso, è condivisa l’eccezione di inadempimento, rispetto alle funzioni sindacali, operata dal giudice delegato (peraltro riservandosi l’esercizio dell’azione di responsabilità).
Si osserva, infatti, come il sindaco opponente, dopo aver reiteratamente espresso “preoccupazioni” (sull’ingente debito tributario) e formulato “inviti” (a procedere ai relativi pagamenti), nella piena consapevolezza della progettazione, da parte della società, di una operazione di conferimento di tutte le attività in una snc, che avrebbe privato i creditori di valori attivi della società (operazione poi effettivamente compiuta), ometteva di esercitare i poteri di cui disponeva: non venivano, infatti, compiuti atti d’ispezione e di controllo, né richieste convocazioni dell’assemblea, né promosse azioni di responsabilità contro l’organo amministrativo; e neppure – ammettendone la praticabilità nel contesto delle cooperative a responsabilità limitata – si presentava denuncia al Tribunale di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. L’unica decisione adottata risultava essere quella relativa alle proprie dimissioni poco prima dell’operazione di conferimento e del deposito della domanda di concordato preventivo.

Secondo il Tribunale di Rimini, però, il sindaco, per tal via, non faceva altro che consentire la realizzazione del progetto degli amministratori, avallandone, sostanzialmente, l’operato. Tale comportamento inerte, poi, non poteva considerarsi “eliso” dal fatto che il concordato fosse stato approvato dai creditori ed omologato.

Il sindaco, di contro, fin dall’emersione della situazione di crisi della società, della quale era pienamente consapevole, avrebbe dovuto attivarsi per accertare l’effettiva possibilità di uscirne in tempi ragionevoli, verificando il permanere della continuità aziendale. Se, infatti, la perdita della continuità aziendale fosse stata tempestivamente rilevata il bilancio sarebbe stato redatto in ottica liquidatoria molto tempo prima. Nulla di tutto ciò risultava espletato dal sindaco del caso di specie che, come evidenziato, si era limitato a esprimere preoccupazioni e perplessità e a formulare meri inviti, mai considerati, addivenendo, infine, alle proprie dimissioni dopo aver espresso dissenso rispetto all’operazione prospettata dall’organo amministrativo, finendo, però, in tal modo, per assecondarla.

Si tratta – precisa in chiusura il provvedimento in esame – di una condotta inadempiente agli obblighi di controllo e di reazione affidati al Collegio sindacale, anche alla luce delle Norme di comportamento predisposte dal CNDCEC (cfr., in particolare, le Norme 6 e 7): obblighi che non vengono meno nell’ipotesi di proposizione, da parte della società, di iniziative stragiudiziali o di procedure di soluzione concordata della crisi.

Di conseguenza, il credito vantato dal sindaco verso la società per lo svolgimento del proprio incarico resta fuori dallo stato passivo e il professionista è condannato a rifondere alla curatela le spese del procedimento (3.250 euro), oltre al 15% per rimborso spese generali.