Nella bancarotta fraudolenta patrimoniale rilevanti gli «indici di fraudolenza»

Di Maurizio MEOLI

La Cassazione, nella sentenza n. 38884/2019, si sofferma, tra l’altro, su alcuni interessanti profili attinenti al rapporto tra la sentenza dichiarativa di fallimento e le fattispecie di bancarotta fraudolenta (in particolare per distrazione).

Si osserva, innanzitutto, come, messa in disparte la questione della qualificazione giuridica che si intenda riconoscere a tale sentenza – ovvero, sia che la si ritenga condizione obiettiva di punibilità (così, ex multis, Cass. n. 45288/2017), sia che la si voglia considerare elemento costitutivo della fattispecie, ancorché improprio, che serve a connotare di lesività i comportamenti tipizzati dalle norme di riferimento (così Cass. n. 40477/2018) – essa consiste in una pronuncia giurisdizionale recante un fatto giudizialmente accertato – ovvero il fallimento – che, ai fini dell’integrazione dei reati di bancarotta, rileva, in ogni caso, come dato di fatto di tale intervenuto riconoscimento, a prescindere dalla sua irrevocabilità e dal suo contenuto, non sindacabile da parte del giudice penale, essendo le stesse disposizioni normative ad attribuirle tale specifica rilevanza.

Tale sentenza si pone come un dato che, nella sua storicità, non è ripetibile e non è suscettibile di diversa valutazione in sede penale, in quanto tesa ad attestare unicamente l’intervenuto fallimento in un determinato momento storico-giurisdizionale, e, in quanto tale, può e deve certamente confluire nel fascicolo del dibattimento, al di là della sua irrevocabilità, in forza di quanto disposto dagli artt. 216 e ss. e 238 del RD 267/1942 (quest’ultima disposizione, peraltro, pone la sentenza di fallimento in relazione alla stessa possibilità di esercizio, ordinario, dell’azione penale).

La sentenza di fallimento e lo stato di insolvenza non sono collegati eziologicamente con la condotta dell’agente e rimangono estranei rispetto all’atteggiamento soggettivo di quest’ultimo. Si tratta, in particolare, di profili che, al più, si lambiscono, ma solo indirettamente, presentandosi la sentenza in questione come il possibile sviluppo di un determinato contesto o di un atto/comportamento che, nel caso della bancarotta patrimoniale distrattiva, è sufficiente sia idoneo a porre in pericolo, concreto, la garanzia patrimoniale.

D’altra parte, trattandosi di una pronuncia giurisdizionale, essa non può che porsi al di fuori della sfera di dominio dell’agente e, pur partecipando alla formazione della fattispecie, è evento successivo e comunque esterno alla condotta medesima. Non rileva, quindi, se la condotta distrattiva abbia determinato o meno lo stato di insolvenza o il dissesto, ed il fallimento, e se questo era nello specifico certamente prevedibile, trattandosi, come detto, di reato di pericolo, e non di evento, ed essendo peculiare la natura della dichiarazione di fallimento.

Nonostante tali caratteristiche, tuttavia, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è privo né di offensività concreta né di soggettività, dovendo, comunque, ragionarsi in termini di pericolo concreto e di prevedibilità; nel senso che oggetto di consapevolezza deve essere, in ogni caso, in relazione alla concreta situazione della società, l’incidenza dell’atto distrattivo sulle prospettive di soddisfacimento concorsuale dei creditori, considerando che la concretezza del pericolo assume una sua dimensione effettiva – definitiva – soltanto nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 47616/2014).

“La sua valutazione” (ovvero, la valutazione di tale sentenza), in termini di prognosi postuma, diviene, allora, funzionale, da un lato, a verificare la concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa e la sua persistenza al momento dell’apertura della procedura fallimentare, e, dall’altro, l’esistenza, in capo all’agente, della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa posta in essere, che, in ipotesi, potrebbe anche prescindere dall’essersi già manifestato lo stato d’insolvenza al momento dell’azione.

Tutto ciò considerando che l’accertamento della concreta pericolosità del fatto distrattivo e dell’elemento soggettivo (dolo generico) avviene ricercando “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nella considerazione delle cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nonché nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale (cfr. Cass. n. 38396/2017).

Questa ricostruzione, conclude la Suprema Corte, è in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 22474/2016, secondo cui i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualsiasi momento essi siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza, ed a prescindere da qualsiasi nesso (causale o psichico) tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa.