Prova rigorosa per la compatibilità dell’amministratore-dipendente

Per l’INPS occorre l’accertamento in concreto, caso per caso, dell’assoggettamento a un effettivo potere di supremazia

Di Maurizio MEOLI

L’INPS, nel messaggio n. 3359, diffuso ieri, si sofferma, alla luce delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, sul tema della compatibilità della carica di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato; ciò, chiaramente, in ragione del fatto che il riconoscimento di tale rapporto esplica effetto ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali ed assistenziali.

In via generale, quindi, si ricorda come il fatto di essere organo di una persona giuridica non sia considerato, di per sé, un ostacolo alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato; in tale rapporto, però, devono sussistere le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente (così Cass. n. 18476/2014; cfr. anche Cass. n. 24972/2013).

Ed allora, a parte la carica di amministratore unico – rispetto alla quale non è ravvisabile una relazione intersoggettiva, suscettibile, almeno astrattamente, di una distinzione tra organo direttivo della società e lavoratore, quale soggetto esecutore delle prestazioni lavorative personali che, di fatto, dipendono dallo stesso organo direttivo (cfr. Cass. n. 24188/2006) – non sono astrattamente incompatibili con lo status di lavoratore subordinato né la carica di presidente del CdA (seppure dotato di potere di rappresentanza), né quella di amministratore delegato, salvo che si tratti di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del CdA (cfr. Cass. n. 18414/2013). In quest’ultimo caso, precisa l’INPS, neanche i controlli di legittimità sostanziale riservati al Collegio sindacale potrebbero far pensare all’eterodirezione necessaria a configurare un rapporto di lavoro subordinato.

Un rapporto di lavoro subordinato non è, poi, ravvisabile in capo all’unico socio di una società, perché tale situazione, nonostante la società sia un distinto soggetto giuridico, esclude l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario. Analoga soluzione vale nel caso del c.d. “socio sovrano”; per tale intendendosi quel soggetto che abbia ridotto a suo strumento la società, usandola come cosa propria (cfr. Cass. n. 21759/2004, che ha anche sottolineato come il socio neppure possa assumere la figura di lavoratore subordinato di una società di capitali quando abbia una partecipazione al capitale capace di assicurargli la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni delle assemblee, sicché, in concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori).

Con riguardo alle sole tipologie di cariche ritenute in astratto ammissibili, allora, la valutazione di compatibilità presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza, innanzitutto, del fatto che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno.

Inoltre, dovrà accertarsi, sempre in concreto, l’oggettivo svolgimento di mansioni estranee al rapporto organico con la società (deve, cioè, trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite) e che tali attività siano connotate dai caratteri tipici della subordinazione (cfr. Cass. n. 12630/2008).

Per far valere il vincolo di subordinazione occorre provare l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui si appartiene (cfr. Cass. n. 24972/2013 e Cass. n. 18476/2014), anche tenendo conto di elementi sintomatici, quali la periodicità e la predeterminazione della retribuzione, l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro, l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale, l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale, l’assenza di rischio in capo al lavoratore, la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari, etc. (cfr. Cass. n. 5886/2012).
È necessario, peraltro, che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta dal soggetto titolare della carica.

È chiaro, infine, che il vincolo di subordinazione può assumere connotati diversi in ragione della natura delle mansioni assegnate e delle condizioni in cui queste si svolgono (si pensi, in particolare, al lavoro dirigenziale); in ogni caso, comunque, nella individuazione della natura del rapporto vale il principio di effettività, secondo il quale nomen iuris e modalità di formalizzazione sono solo elementi di una valutazione complessiva della situazione concreta (cfr. Cass. n. 18476/2014).

2019-09-20T09:10:06+00:00Settembre 18th, 2019|News|
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