Assistenza all’acquisto di azioni proprie solo nel rispetto delle regole

La violazione dell’art. 2358 c.c. determina la nullità dell’operazione, anche nelle cooperative

Di Maurizio MEOLI

È nullo il collocamento di azioni proprie avvenuto in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2358 c.c.; ciò anche nel contesto di una banca popolare. Ad affermarlo è il Tribunale di Venezia in due sentenze “gemelle”: le nn. 1758 e 1760 del 29 luglio scorso.

La previsione contenuta nell’art. 2358 c.c. è stata definita imperativa anche prima delle modifiche che hanno disciplinato l’assistenza finanziaria all’acquisto di proprie azioni; ovvero quando l’operazione era drasticamente vietata (salvo che si trattasse di favorire l’acquisto di azioni da parte dei dipendenti della società o di quelli di società controllanti o controllate). Tale carattere non è venuto meno solo perché, nel testo vigente, a fronte del generico divieto iniziale, si disciplinano poi le condizioni – procedimentali e sostanziali – di legittimità dell’operazione.

La Cassazione a Sezioni Unite n. 26724/2007 ha stabilito che l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418 comma 1 c.c. è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Vi sono ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalle legge o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto.

Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non sembra dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo. Non si tratta di norme di comportamento afferenti alla concreta modalità delle trattative prenegoziali o al modo in cui è stata data, di volta in volta, attuazione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire.

Secondo i giudici veneziani, quanto stabilito dalle Sezioni Unite nell’individuazione dei tratti identificativi di una norma imperativa in relazione al contratto, vale anche per il negozio di collocamento di azioni. Di conseguenza, quando questo avvenga in violazione delle modalità e dei limiti di legge, la sanzione è quella della nullità, dal momento che solo il rispetto di tali prescrizioni consente di superare il divieto.

Dalla disciplina codicistica emerge come al centro di tutto si ponga la tutela del capitale sociale. Ciò nell’interesse della società, oltre che dei soci e dei creditori; soggetti, questi ultimi, che fanno parte di quel più ampio contesto al quale la pubblicazione nel Registro delle imprese della autorizzazione dell’assemblea straordinaria rende accessibile la delibera.

Nella specie, trattandosi di una società cooperativa e, in particolare, di una banca popolare, occorre anche considerare che, ex art. 2519 comma 1 c.c., alle società cooperative, per quanto non specificamente previsto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sulla spa. Osserva, quindi, la decisione in commento come la tutela del capitale sociale sia centrale anche in ambito mutualistico, con norme poste a presidio della sua solidità (cfr. l’art. 2545-quater c.c.).

Pertanto, una disciplina che vieti (o limiti in concreto) le operazioni che possano mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Ci si potrebbe, peraltro, chiedere se siano incompatibili con la struttura cooperativa taluni dei requisiti, delle modalità o delle condizioni prescritte dall’art. 2358 c.c. Ma anche questa analisi presenta un esito negativo. Poiché, infatti, “tutte” le condizioni dettate dall’art. 2358 c.c. concorrono a elidere i pericoli nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, “tutte” indistintamente – e segnatamente la programmazione unitaria dell’operazione e la sua pubblicità – devono esistere per il superamento del divieto generale.

Va poi escluso che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia in qualche modo resa inapplicabile dal fatto che le società cooperative sono sottoposte a forme di vigilanza, in mancanza di norme che dispongano in tal senso.

Infine, con riguardo a quella particolare categoria di cooperative rappresentata dalle banche popolari, occorre considerare, da un lato, che, con l’entrata in vigore del DLgs. 385/1993 si è abrogata la previsione che consentiva loro di prestare assistenza per l’acquisto di proprie azioni (art. 9 del DLgs. 105/1948), e, dall’altro, che, con una successiva modifica, sono stati elencati gli articoli del codice civile “non” applicabili alle banche popolari senza includervi l’art. 2358 c.c. (cfr. l’art. 150-bis comma 2 del DLgs. 385/1993).
Si ritiene, quindi, che le banche popolari non possano oggi finanziare l’acquisto di proprie azioni al di fuori di qualsiasi forma, ma solo nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 2358 c.c.

2019-09-10T07:40:48+00:00Settembre 10th, 2019|News|
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