La giurisprudenza recente propende per tale soluzione, mentre la dottrina riconosce il diritto anche in caso di separazione, purché senza addebito

Di Cecilia PASQUALE

Quando uno dei coniugi muore, al superstite spetta, oltre alla quota di eredità riservatagli dalla legge, anche il diritto di abitare la casa familiare e di utilizzare i beni mobili al suo interno, ai sensi dell’art. 540 comma 2 c.c. primo periodo, a mente del quale al coniuge superstite “sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni”.

Le esigenze che la norma intende soddisfare e la sua formulazione hanno portato gli interpreti a interrogarsi circa l’applicabilità della disposizione in esame all’ipotesi di separazione personale tra coniugi.

Da un lato, infatti, la previsione di tale diritto è funzionale a garantire al soggetto che era più vicino al defunto una tutela ulteriore rispetto a quella patrimoniale (assicurata con la devoluzione al medesimo di una quota di legittima), al fine di evitare le sofferenze psicologiche che potrebbero derivargli dalla ricerca di una nuova abitazione.
Dall’altro lato, il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. spetta al coniuge superstite sulla “casa adibita a residenza familiare”, ossia sul luogo in cui i coniugi hanno stabilito l’indirizzo della vita familiare e fissato la residenza della famiglia “secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa” ex art. 144 c.c., o comunque sul luogo ove in concreto i soggetti convivevano.

I dubbi di applicabilità derivano, dunque, dalla possibilità o meno di individuare, nella fase di separazione, una vera e propria casa familiare sulla quale far gravare i diritti in esame. Inoltre, l’art. 548 c.c. stabilisce che il coniuge a cui non è stata addebitata la separazione “ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato”, il che porterebbe a concludere che anche la disciplina del diritto di abitazione segua quanto previsto per il coniuge non separato.
Sul punto, gli interpreti sono divisi.

Per la dottrina, il diritto di abitazione della casa familiare spetta anche al coniuge separato senza addebito (ossia colui che non ha colposamente generato la separazione a seguito dell’inadempimento ai doveri coniugali), in applicazione del suddetto art. 548 c.c., purché il coniuge superstite abbia continuato ad abitare nella casa coniugale (di fatto o in forza di assegnazione in sede di separazione).
Secondo tale ricostruzione, in questa particolare fase di “quiescenza”, la casa adibita a residenza familiare andrebbe individuata oggettivamente, a prescindere dalla coabitazione tra i coniugi al momento del decesso.
Per altra parte della dottrina, al coniuge superstite separato appartiene il diritto di abitazione della casa familiare solo se questa gli sia stata assegnata in sede di separazione personale, non potendo ritenersi altrimenti che quella casa rappresenti per lui la “residenza familiare”, alla cui conservazione è diretta la ratio della norma.

La giurisprudenza ha, invece, ritenuto di escludere il riconoscimento di tale diritto al coniuge separato, in ragione dell’impossibilità di individuare una casa adibita ad abitazione familiare: se, infatti, il diritto di abitazione e d’uso sui mobili in favore del coniuge superstite può avere a oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare, l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, intesa come l’immobile in cui i coniugi vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare (Cass. 12 giugno 2014 n. 13407).
Tale situazione non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi e questi, al momento dell’apertura della successione, vivessero in luoghi diversi.

Più recentemente, la Cassazione 5 giugno 2019 n. 15277 ha ripreso le medesime argomentazioni, precisando che neppure la circostanza che la casa familiare fosse stata attribuita al coniuge nell’ambito della separazione consensuale omologata giustifica l’attribuzione del diritto al coniuge separato superstite, in quanto anche in tale evenienza manca l’elemento della convivenza fra i coniugi al tempo di apertura della successione.