Per ottenere la liquidazione, al termine di preavviso occorre sommare 180 giorni
Il Tribunale di Bologna, nell’ordinanza del 18 marzo scorso, fornisce una meticolosa e condivisibile ricostruzione del c.d. recesso ad nutum nel contesto di una srl contratta a tempo indeterminato.
In via generale, si osserva come il diritto di recesso rappresenti uno strumento offerto al socio dissenziente per indurre la maggioranza a meglio ponderare le proprie scelte. Si ritiene, inoltre, che il diritto di recesso debba qualificarsi quale atto unilaterale recettizio, con conseguente perdita della qualità di socio, e di ogni diritto derivante da tale qualità, a partire dal momento in cui la relativa comunicazione perviene alla società. Da questo momento il rapporto sociale deve considerarsi dissolto ed il soggetto uscente assume la veste di creditore sociale; ciò con la precisazione che tali effetti sono risolutivamente condizionati alla revoca della decisione che legittima il recesso da parte dei soci ovvero alla decisione di scioglimento dell’ente (art. 2473 comma 5 c.c.).
Passando allo specifico tema del recesso ad nutum di cui all’art. 2473 comma 2 c.c., poi, si osserva come, tramite esso, si intenda concedere a ciascun socio della società contratta a tempo indeterminato il diritto di sciogliersi unilateralmente da un rapporto sine die; tale diritto, da esercitarsi a seguito di una valutazione personale e discrezionale, si pone in linea con i principi generali dell’ordinamento, che non considera con favore i vincoli contrattuali perpetui.
In tale contesto, si impone al socio uscente di concedere alla società un congruo termine di preavviso, non inferiore a 180 giorni e non superiore ad un anno. Per tal via si intende arginare i potenziali pregiudizi di carattere patrimoniale che la società potrebbe subire a causa di un recesso improvviso del socio. Il termine di preavviso imposto dalla legge, pertanto, determina uno slittamento in avanti degli effetti del recesso, i quali non si producono fino allo spirare dello stesso; lasciando, nel frattempo, alla società il tempo necessario per reperire le risorse utili a liquidare la quota del socio uscente.
Ne consegue che:
– in pendenza del termine di preavviso, non essendosi ancora prodotti gli effetti del recesso, il socio che ha esercitato il diritto di exit non cessa di correre il rischio d’impresa, ma continua a partecipare pienamente alla vita sociale e ad i suoi esiti fino al momento in cui la sua dichiarazione produce gli effetti desiderati (ovvero fino al momento della completa decorrenza del preavviso);
– soltanto da tale momento – e non da quello della dichiarazione cui fa riferimento l’art. 2473 comma 4 c.c. – prende avvio l’ulteriore termine di 180 giorni per dare piena esecuzione al rimborso della partecipazione.
Depongono in tale direzione le seguenti argomentazioni:
– considerare il termine di preavviso coincidente con il termine di 180 giorni previsto per eseguire il rimborso della quota del socio uscente vanificherebbe la funzione che il legislatore ha inteso attribuire al preavviso stesso, ponendo nel nulla la distinzione tra la fattispecie in esame e le diverse ipotesi di recesso previste dalla legge;
– considerare quale dies a quo del termine per il rimborso il momento dell’avvenuta ricezione della comunicazione di recesso determinerebbe conseguenze ancor più insostenibili nelle ipotesi in cui i soci (come accadeva nel caso di specie) prevedano nello statuto un termine di preavviso di durata annuale, o comunque superiore a 180 giorni. In tal caso, il socio uscente vedrebbe rimborsato il valore della propria partecipazione con largo anticipo rispetto allo scioglimento del rapporto sociale ad esso facente capo, mantenendo la qualità di socio anche a seguito dell’avvenuto rimborso integrale della partecipazione;
– non avrebbe senso, quindi, né sul piano giuridico, né su quello economico, concedere ai soci la facoltà di prolungare il termine di preavviso fino ad un anno ed imporre alla società di procedere al rimborso della partecipazione entro il termine massimo di 180 giorni dalla ricezione della comunicazione del recesso.
La determinazione del valore della partecipazione, ancora, deve essere effettuata con riferimento alla scadenza del termine di preavviso; guardando, cioè, al momento in cui il recedente perde la qualità di socio per assumere quella di creditore della società.
Anche in questo caso, il riferimento al momento della dichiarazione di recesso, contenuto nell’art. 2473 comma 3 c.c., deve essere interpretato alla luce della peculiarità della fattispecie in esame, non potendo ritenersi che al socio recedente debba liquidarsi la quota di partecipazione ad un valore che non tenga conto, sia in positivo che in negativo, dell’attività sociale svolta in pendenza del termine di preavviso.
In tale frangente, peraltro, i soci hanno la facoltà di decidere lo scioglimento anticipato dell’ente, impedendo, in questo modo, che la dichiarazione del socio uscente possa acquisire definitiva efficacia.
In tal caso, quest’ultimo non avrà diritto a vedersi rimborsato il valore della quota di partecipazione, ma sarà coinvolto nella procedura di liquidazione della società al pari degli altri soci.