Lo stralcio dovrebbe evitare ogni questione attinente eventuali intenti liberali sottesi a mancate azioni di recupero
La recente risposta a interpello n. 197/2019 offre lo spunto per tornare sulle condizioni che legittimano la deduzione delle perdite su crediti prescritti. Con tale documento, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che tali perdite non sono deducibili se, dai fatti e dalle circostanze evincibili in concreto, l’inattività della società creditrice (tramite la mancata attivazione di iniziative di recupero) sottende una volontà liberale.
Tale posizione desta alcune perplessità.
Innanzitutto, si ricorda che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, quindi, dal momento in cui lo stesso è sorto.
Tale regola generale vale anche per le prestazioni sottoposte a un termine da stabilirsi d’accordo tra le parti. Ove tale accordo non sia stato raggiunto, la prescrizione decorre dal momento in cui il credito è sorto, in quanto fin da tale momento il creditore può esercitare il suo diritto rivolgendosi al giudice per la fissazione di detto termine, con la conseguenza che, se il creditore non ricorre al giudice, dalla sua protratta inerzia può derivare l’estinzione del diritto stesso non fatto valere (Cass. n. 1731/1986).
La maturazione dei termini di prescrizione può essere impedita da sospensioni (artt. 2941 e 2942 c.c.) o interruzioni (artt. 2943 – 2945 c.c.). Tuttavia, mentre la sospensione comporta che il termine di legge riprenda a decorrere da dove era giunto cessata la relativa causa, l’interruzione (es. costituzione in mora del debitore) determina l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione, senza tener conto di quello maturato prima dell’atto interruttivo.
Ma, allora, stando così le cose, se secondo l’Agenzia il creditore deve porre in essere atti o comportamenti interruttivi della prescrizione onde evitare che l’inattività del creditore possa celare una volontà liberale, la perdita su un credito prescritto rischia di non essere mai deducibile in via automatica. Inoltre, l’intento liberale non andrebbe presunto in linea teorica, bensì contestato in sede di verifica.
Si ricorda che, proprio con riferimento ai suddetti atti interruttivi, la circ. Consorzio studi e ricerche fiscali Gruppo Intesa Sanpaolo n. 4/2012 (§ 2.2.2) ha affermato che, se la perdita è stata dedotta nello stesso periodo d’imposta di maturazione della prescrizione (ad es., decorsi 10 anni dalla scadenza del pagamento), per contestare l’avvenuta deduzione in detto esercizio e non in un esercizio successivo, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe dimostrare la sussistenza di atti interruttivi.
Diversamente, se la perdita è stata dedotta in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito si sarebbe prescritto in assenza di atti interruttivi (ad es., decorsi 11 anni dalla scadenza del pagamento), il contribuente sarebbe tenuto a dimostrare la sussistenza di atti interruttivi (ad es., costituzione in mora del debitore decorso un anno dalla scadenza originaria del pagamento), al fine di giustificare la deduzione in tale periodo d’imposta, anziché in quello precedente (in senso conforme, circ. Assonime 15/2013, § 3).
La posizione dell’Agenzia delle Entrate pare altresì in contrasto con quella della Corte di Cassazione (sentenze n. 27296/2014 e n. 18237/2012), ad avviso della quale la prova della sussistenza della definitività della perdita non impone né la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né che sia intervenuta la sentenza di fallimento del debitore.
Infine, anche volendo aderire all’impostazione dell’Amministrazione finanziaria, potrebbe giungersi ad ammettere per altra via la deducibilità della perdita, qualora, decorsi i termini di prescrizione senza che siano stati posti in essere atti interruttivi della medesima, il credito fosse cancellato dal bilancio.
Infatti, ai sensi dell’art. 101 comma 5 del TUIR, gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita in ipotesi diverse dalle procedure concorsuali, sussistono altresì in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili.
A tal fine, secondo la citata circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2014 (§ 1.1), rilevano le ipotesi di cancellazione contemplate dall’OIC 15.
In base a tale principio contabile (§ 71), la società cancella il credito dal bilancio quando, in alternativa:
– i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono;
– la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito.
Atteso che, sia Assonime (circ. n. 18/2014), sia l’OIC 15 (§ 72) riconducono la prescrizione tra gli eventi che comportano l’estinzione di tutti i flussi finanziari relativi al credito, la cancellazione del credito dal bilancio per intervenuta prescrizione dovrebbe consentire ex lege la deducibilità della perdita, superando ogni questione attinente eventuali intenti liberali conseguenti alla mancata attivazione di procedure di recupero.