Può essere centrale l’estraneità dell’operazione all’oggetto sociale della società
Il delitto di riciclaggio si consuma con la realizzazione dell’effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipiche previste dall’art. 648-bis comma 1 c.p. – sostituzione, trasferimento o altre operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni, denaro o altra utilità – non essendo, invece, necessario che ciò che viene “ripulito” sia restituito a chi l’aveva inizialmente acquisito e trasferito.
In questo senso si è pronunciata la Cassazione – nella sentenza n. 27848 depositata ieri – in un caso che vedeva coinvolti i legali rappresentanti di due società ed era stato contestato direttamente nei confronti di una srl ai sensi dell’art. 25-octies del DLgs. 231/2001.
Secondo la prospettazione accusatoria, tale società aveva ricevuto sul conto corrente, mediante un simulato contratto preliminare di compravendita, somme di denaro per oltre 670.000 euro provenienti da alcuni delitti tributari (artt. 2, 3 e 4 del DLgs. 74/2000) commessi dall’altra società coinvolta. Dopodiché la srl ricevente aveva utilizzato tali profitti per la ristrutturazione di un immobile, così da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita.
A fronte delle medesime condotte era stato ipotizzato anche il reato di trasferimento fraudolento di valori (oggi previsto dall’art. 512-bis c.p.) che punisce chiunque attribuisca fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter c.p.
Nel caso in esame non vi era alcun dubbio sulla oggettiva origine delittuosa delle somme, in quanto i reati tributari (presupposto) erano già stati oggetto di un precedente procedimento. L’accento viene, invece, posto sulla consapevolezza in capo alla società destinataria per mezzo del suo legale rappresentante.
Per il riciclaggio, così come per la ricettazione, è infatti necessaria tale consapevolezza in relazione alla provenienza illecita; che, tuttavia – precisa la Cassazione – non deve necessariamente estendersi alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto. La prova dell’elemento soggettivo, cioè, può trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede.
Centrale diviene allora la natura e la giustificazione dell’operazione contrattuale avvenuta tra le parti, quale causa del trasferimento delle somme in questione.
La società indagata per riciclaggio si occupava di servizi di pulizia: oggetto sociale che mal si coniuga con un’attività di intermediazione per l’acquisto e la ristrutturazione di un fabbricato da adibire a civile abitazione, mediante l’investimento di ingenti somme di denaro nell’acquisto di materiali e finiture di pregio.
Proprio dalle anomalie evidenziate nel corso dell’istruttoria emerge il sospetto della simulazione dei rapporti contrattuali e il conseguente “fumus” (si tratta, infatti, della fase cautelare del procedimento) del delitto di riciclaggio.
Anzi, secondo i giudici di legittimità, la “ripulitura” dell’importo citato non rappresenta che una parte limitata rispetto al profitto ben più ampio dei delitti tributari di dichiarazione fraudolenta e infedele imputati alla società che ha trasferito i fondi.
Tra l’altro – si legge nelle motivazioni della sentenza in commento – il trasferimento di denaro nei conti correnti di altra società, estranea al gruppo di appartentenza, per una finalità non legata agli interessi di tale gruppo, consentirebbe astrattamente di ipotizzare anche il reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. in capo all’amministratore che ha disposto tale trasferimento, quale programmatico svuotamento delle casse sociali; delitto che, a sua volta, potrebbe costituire il presupposto di quello di riciclaggio.
Viene, inoltre, ricordato come non vale ad escludere il reato la tracciabilità delle operazioni compiute, in quanto non è necessario, ai fini dell’integrazione della fattispecie, che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni, essendo sufficiente che essa sia anche solo ostacolata (Cass. n. 26208/2015).
Da ultimo, la Cassazione ricorda come non si possa parlare di “doppio sequestro” laddove si tratti di due soggetti differenti: colui che ha posto in essere i reati presupposto e colui che ha posto in essere il delitto di riciclaggio, anche al fine di incrementare illecitamente il proprio patrimonio aziendale – come richiesto dal DLgs. 231/2001 – attraverso lo sfruttamento commerciale dell’immobile così ristrutturato.