Per la loro applicazione non servono ragioni extrafiscali non marginali, perché è un vantaggio lecito

Di Enrico ZANETTI

Il conferimento di un’azienda alberghiera e la successiva cessione, da parte dell’impresa conferente, della partecipazione totalitaria ricevuta nella società conferitaria costituiscono una “complessiva operazione” che non può essere né riqualificata unitariamente come cessione d’azienda ai sensi dell’art. 20 del DPR 131/86, né considerata abusiva rispetto alle imposte d’atto ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 196, pubblicata ieri, conferma l’ormai pieno sdoganamento della c.d. “cessione indiretta d’azienda” ai fini delle imposte d’atto che già aveva ricevuto importanti conferme in occasione delle risposte a interpello del 29 gennaio 2019 n. 13 e del 13 maggio 2019 n. 138, dopo lunghi anni di defatigante contenzioso tra contribuenti e Amministrazione finanziaria, alimentato anche da una pervicace resistenza da parte della Cassazione che è stata vinta dapprima con una modifica testuale del richiamato art. 20 e successivamente con l’esplicitazione della natura interpretativa (e quindi anche retroattiva) della modifica apportata.

Nello specifico caso oggetto della risposta interpello n. 196/2019, la società conferente-cedente versava in stato liquidatorio, dovuto a una crisi che l’aveva colpita già da alcuni anni e che aveva portato all’approvazione dapprima di un accordo di ristrutturazione del debito e, a distanza di alcuni anni, di un piano di risanamento ex art. 67 del RD 267/42.

Il conferimento del ramo d’azienda alberghiera e la successiva cessione delle partecipazioni totalitarie nella newco conferitaria si inquadravano nel contesto dell’esecuzione di detto piano, per un totale di quattro conferimenti di rami d’azienda e altrettante auspicate cessioni di partecipazioni a favore di terzi compratori interessati a partecipare alla relativa procedura di gara.
Un contesto, insomma, gravido di quelle “ragioni extrafiscali non marginali” che, ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000, possono neutralizzare la contestazione di abuso del diritto anche in presenza di vantaggi fiscali effettivamente indebiti rispetto alle norme e ai principi dell’ordinamento giuridico.

La loro esposizione e logica sottolineatura da parte del contribuente istante è tuttavia risultata superflua, perché, come sottolineato dall’Agenzia delle Entrate, lo schema operativo della “cessione indiretta d’azienda” non determina alcun risparmio d’imposta indebito e quindi “non avendo riscontrato la sussistenza del requisito dell’indebito risparmio d’imposta, non si procede all’analisi degli ulteriori requisiti previsti dall’articolo 10-bis della Legge n. 212 del 2000”.

Una risposta dunque che, così come le due precedenti ricordate in apertura, pur avendo caratteristiche giuridiche tali da potersi considerare valida solo con riguardo allo specifico caso proposto dal singolo contribuente istante, presenta evidenti elementi sistemici.
Da questo punto di vista, su questa così come su altre fattispecie che vedono moltiplicarsi risposte che escludono l’abuso del diritto non già in forza di circostanze specifiche, bensì in forza di assenza a livello strutturale della natura indebita del vantaggio fiscale sottoposto a valutazione (si pensi, in particolare, alle scissioni asimmetriche), potrebbe valere la pena che l’Agenzia delle Entrate valuti di emanare una circolare o quanto meno una risoluzione, così da poter rinviare in futuro direttamente a tali documenti di prassi ufficiale per casi sostanzialmente identici, piuttosto che dover proseguire nella proliferazione di risposte identiche.