La Corte d’Appello di Roma evidenzia alcuni passaggi del DLgs. n. 14/2019 che sembrano deporre per l’inammissibilità dell’azione revocatoria
In assenza di un intervento della Cassazione, nella giurisprudenza di merito continuano a esistere vedute contrapposte sulla questione dell’ammissibilità o meno dell’azione revocatoria di un atto di scissione.
A sostegno della tesi dell’inammissibilità si pongono, tendenzialmente, i seguenti argomenti: la natura organizzativa dell’atto di scissione, che non determinerebbe un trasferimento patrimoniale e, quindi, non sarebbe aggredibile con l’azione revocatoria; l’irretrattabilità degli effetti della scissione una volta iscritta nel Registro delle imprese; la previsione, quale strumento di tutela ad hoc per i creditori della società scissa, del potere di opporsi alla scissione; la facoltà per i creditori della società scissa di far valere la responsabilità solidale della società beneficiaria della scissione ex art. 2506-quater comma 3 c.c. (cfr., da ultimo, Trib. Napoli 26 novembre 2018, App. Catania 19 settembre 2017 n. 1649 e Trib. Roma 7 novembre 2016).
La ricostruzione contraria, invece, fa principalmente leva sulle seguenti ragioni: la non coincidenza, quanto a effetti e legittimazione attiva, tra rimedio (specifico) dell’opposizione e rimedio (generale) della revocatoria; la mancanza di un’esplicita esclusione normativa del rimedio generale della revocatoria; la constatazione che la scissione in ogni caso realizza, sul piano degli effetti, un passaggio di elementi patrimoniali, ossia integra un atto di tipo organizzatorio cui si riconnettono modificazioni giuridiche di elementi patrimoniali, e, come tale, sarebbe revocabile; il fatto che della responsabilità solidale di cui all’art. 2506-quater comma 3 c.c. possono beneficiare solo i creditori anteriori alla scissione (cfr., da ultimo, Trib. Pescara 4 maggio 2017, Trib. Roma 16 agosto 2016 e Trib. Venezia 5 febbraio 2016 n. 293).
Sul tema, peraltro, è da segnalare come la Corte d’Appello di Napoli 20 marzo 2018 abbia sottoposto alla Corte di Giustizia Ue, in forza di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, la questione interpretativa degli artt. 12 e 19 della Direttiva 891/1982, oggi sostituiti dagli artt. 146 e 153 della Direttiva 1132/2017, consistente nello stabilire se, dopo che sia stata decisa e attuata la scissione di una società di capitali, mediante costituzione di una nuova società beneficiaria di parte del patrimonio della società scissa, senza che i creditori di quest’ultima abbiano proposto l’opposizione alla scissione contemplata, nel diritto interno, dall’art. 2503 c.c., e senza che sia stata proposta alcuna domanda di nullità e/o invalidità della scissione, sia consentito ai creditori medesimi esperire l’azione revocatoria ordinaria allo scopo di conseguire che la scissione sia dichiarata “inefficace” (ma non “nulla”, né “invalida”) e che, per effetto di questa dichiarazione, i creditori che l’abbiano ottenuta possano agire in via esecutiva sul patrimonio che la società scissa aveva conferito alla società di nuova costituzione.
Secondo la Corte d’Appello di Roma 27 marzo 2019 n. 2043, inoltre, a favore della soluzione dell’inammissibilità dell’azione revocatoria depongono oggi anche alcune disposizioni del DLgs. 14/2019 (recante il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”), che sarà in vigore dal 15 agosto 2020.
All’art. 116 comma 1, infatti, in ordine alle operazioni straordinarie di trasformazione, fusione o scissione che siano contenute in un piano di concordato preventivo, si prevede il trasferimento in sede concorsuale dell’opposizione, statuendo come la relativa validità possa essere contestata dai creditori “solo” con l’opposizione alla omologazione del concordato.
Ciò, osservano i giudici romani, testimonierebbe una sicura tendenza alla accentuazione del rapporto di integrazione tra disciplina concorsuale e societaria, ma pur sempre realizzando una integrazione coerente con i principi di ciascuna.
Non a caso, allora, il DLgs. 14/2019, in applicazione dell’art. 6 comma 2 lett. c) della L. 155/2017 (legge delega), ha ritenuto di ribadire al terzo comma dell’art. 116 che gli “effetti” delle operazioni di cui al comma 1, in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, sono “irreversibili”, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi ai sensi degli artt. 2500-bis comma 2, 2504-quater comma 2 e 2506-ter comma 5 c.c.
Appare, quindi, significativo il fatto che il legislatore si esprima esplicitamente in termini di “irreversibilità degli effetti” (tutti, sia organizzativi che patrimoniali) con specifica salvezza delle sole norme del codice civile che prevedono la tutela risarcitoria.
Si intenderebbe, cioè, sottolineare come la stabilità degli effetti di operazioni straordinarie, in cui si è articolato il piano di concordato, una volta risolto o annullato il concordato medesimo, è affermata dal legislatore con riferimento alle norme del codice civile (e ai principi a esse sottesi) che le disciplinano e non in termini di ipotetica esenzione da revocatoria (rispetto alla quale rilevano le indicazioni dell’art. 166 comma 3 lett. e) del medesimo DLgs.).