L’atteggiamento sembra diverso nella fase delle indagini preliminari, quando si intende procedere all’adozione di una misura cautelare reale

Di Ciro SANTORIELLO

Sono numerose le decisioni che in giurisprudenza affrontano il tema delle presunzioni tributarie e della loro utilizzabilità nel processo penale.
Costante – e presumibilmente ineludibile – è il ricorso, in sede di accertamento tributario, a forme di semplificazione probatoria per accertare che il contribuente abbia ottenuto ricavi maggiori rispetto a quelli dichiarati e che sono stati oggetto di imposizione (si pensi, ad esempio, alla disposizione di cui all’art. 32 comma 2 del DPR 600/1973).

Nonostante in dottrina alcuni autori sostengano che ai versamenti ed ai prelevamenti andrebbe riconosciuta la natura di fatti certi utilizzabili solo ai fini di una possibile prova per presunzioni semplici, con l’onere della prova che rimane quindi pienamente a carico dell’Amministrazione finanziaria, l’opinione assolutamente prevalente nella giurisprudenza tributaria (cfr. Cass. n. 25142/2009 e Cass. n. 4589/2009) è nel senso che la norma in discorso pone due presunzioni relative che possono essere sì superate dal contribuente, ma che comunque esonerano dall’onere della prova l’Amministrazione finanziaria.

Quanto alla giurisprudenza penale, la stessa in diverse occasioni ha assunto un atteggiamento di prudenza con riferimento all’utilizzo in sede penale delle presunzioni tributarie – ad esempio, con riferimento all’art. 32 sopra indicato se ne evidenzia l’indeterminatezza, che investe tanto l’individuazione del fatto certo su cui fondare la presunzione che le conseguenze che se ne devono trarre, quanto il contrasto fra il contenuto di tale previsione e le regole di comune esperienza, posto che i versamenti ed i prelevamenti di conto corrente e simili da parte dei contribuenti (siano essi persone fisiche o giuridiche, siano privati o imprenditori o lavoratori autonomi) non sono normalmente o necessariamente ricollegabili a fatti di evasione fiscale, ma trovano per la massima parte giustificazione in lecite vicende ed esigenze della vita – sostenendo che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, ma sono solo “dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale, unitamente ad altri elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa” (Cass. n. 7078/2013 e Cass. n. 15899/2016).

Tuttavia, in alcune decisioni la Cassazione sembra abbandonare ogni prudenza nell’utilizzo delle presunzioni tributarie nella fase delle indagini preliminari, quando si intenda procedere all’adozione di una misura cautelare reale. Sulla scorta di una consolidata impostazione, giusta la quale per l’adozione di un provvedimento cautelare come il sequestro preventivo a fini di confisca non occorre una rilevante probabilità di colpevolezza a carico dell’indagato ma la mera sussistenza del fumus commissi delicti – intendendosi con tale espressione il rinvenimento di elementi che possano far presumere in via ipotetica l’avvenuta commissione di un reato – la Cassazione conclude nel senso che tale valutazione di possibilità, da approfondire poi successivamente in sede di definizione del processo, possa essere anche tratta da mere presunzioni tributarie, le quali dunque in questa fase non avrebbero nemmeno necessità di essere riscontrate in qualche modo (Cass. n. 25451/2016).

Inoltre, non è raro che, al di là della cautela suggerita dalla Cassazione, l’utilizzo in sede penale delle presunzioni tributarie si traduca in un agevole aggiramento dell’onere della prova. In particolare, sempre più spesso la giurisprudenza ritiene bastevole, quale elemento di riscontro rispetto ai dati ricavabili dal versamento in conto corrente, la circostanza che l’imputato contribuente non sappia giustificare tale situazione, per cui può sostenersi che, in presenza di prelievo o versamento di conto corrente, se il privato non sa dimostrare altrimenti la provenienza o destinazione che ha dato a tali somme le stesse vengono imputate a titolo di corrispettivi incassati e non dichiarati o di prelievi finalizzati all’esercizio dell’attività imprenditoriale a sua volta produttiva di ulteriore reddito non dichiarato.

Pare perciò assolutamente apprezzabile la richiesta di archiviazione che recentemente ha formulato la procura di Milano con riferimento ad un procedimento penale per il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000. In tale provvedimento, infatti, la procura lombarda si attesta su una lettura probatoria dei dati ricavabili dai dati del conto corrente del contribuente assolutamente minimale, escludendo che l’acquisita prova di prelievi e versamenti possa essere considerata come profilo centrale della dimostrazione dell’accusa di evasione fiscale.