Contrasto tra Corte di Cassazione e prassi amministrativa
La definizione delle liti pendenti, disciplinata dall’art. 6 del DL 119/2018, essendo strutturata sulla falsariga dell’art. 16 della L. 289/2002 (richiamato dall’art. 39 comma 12 del DL 98/2011), riguarda solo le liti su atti sostanzialmente impositivi.
Su tale concetto si registra però un contrasto tra giurisprudenza e prassi dell’Agenzia delle Entrate.
Sono esclusi gli atti solo liquidatori, come l’avviso di liquidazione che, semplicemente, liquida e intima il pagamento di quanto dichiarato dal contribuente stesso nella dichiarazione di successione. Invece, è definibile (e su questo prassi e giurisprudenza concordano) l’avviso di liquidazione che, nonostante sia in tal modo denominato, disconosca i benefici prima casa, oppure riqualifichi gli atti ai sensi dell’art. 20 del DPR 131/86.
Più controversa è la questione in tema di imposte sui redditi e IVA.
Nella recente circolare n. 6 del 2019, l’Agenzia delle Entrate, in armonia con la giurisprudenza, ritiene definibili le cartelle di pagamento derivanti da controllo formale e liquidazione automatica nella misura in cui venga rettificata la dichiarazione, come nel caso di disconoscimento di deduzioni dal reddito e di detrazioni d’imposta.
Per le cartelle di pagamento derivanti da omessi versamenti di imposte dichiarate, la circolare n. 6, in modo lapidario, nega la definizione, trattandosi di atti liquidatori.
Addirittura, si nega la definizione quando oggetto della lite è la sola sanzione da tardivo versamento, o quando, per le più varie ragioni (incluso l’errore procedurale degli uffici), la sanzione è stata contestata in maniera disgiunta dall’imposta.
La giurisprudenza, negli anni passati, aveva diverse volte, al pari delle Entrate, negato la definizione (Cass. 28 gennaio 2015 n. 1571, Cass. 5 luglio 2011 n. 14811), in ragione del carattere solo liquidatorio dell’atto.
Recentemente, invece, c’è stato un cambiamento, confermato da varie sentenze, espressione di un atteggiamento di favor verso la definizione della lite (Cass. 24 ottobre 2014 n. 22672).
Bisogna vagliare, secondo la Cassazione, non solo la tipologia di atto notificato ma il carattere effettivo della lite, sicché quando il contribuente, nel ricorso contro il ruolo, ha contestato il merito della pretesa emendando la dichiarazione, eccependo la decadenza, la mancata notifica dell’avviso bonario e così via, la lite è definibile (Cass. 31 gennaio 2019 n. 2859, Cass. 30 novembre 2018 n. 31049).
Si sposta dunque l’attenzione dalla tipologia di atto impugnato ai motivi di ricorso. Naturalmente, ciò vale anche per le sanzioni da omesso versamento. Il contribuente può eccepire diversi motivi di merito, dando luogo a una lite effettiva, sintomatica di incertezza della res controversa.
Ma vi è un ulteriore aspetto da tenere in considerazione.
Secondo la giurisprudenza, il giudice, nell’esaminare la possibilità di definire la lite, si deve attenere al dato estrinseco consistente nel carattere effettivo della controversia, senza esaminare nel merito la fondatezza dei rilievi (Cass. 8 ottobre 2014 n. 21161, in un caso di omessa notifica dell’atto presupposto).
Anche vizi che, sulla base della giurisprudenza attuale, difficilmente potranno essere accolti, aprono le porte alla definizione.
La cartella non può essere definita, dunque non si verifica nemmeno la sospensione dei termini di impugnazione delle sentenze se il contribuente ha sollevato solo vizi propri della cartella (Cass. 13 marzo 2019 n. 7099).
Del pari insuscettibili di definizione sono le cartelle derivanti da accertamento o da sentenza, salvo, come detto anche nella circolare n. 6 delle Entrate, il contribuente abbia eccepito l’omessa notifica dell’atto presupposto.