Assonime li propone nel Caso n. 4/2019 in seguito a recenti pronunce della Suprema Corte

Di Maurizio MEOLI

Il Caso Assonime n. 4/2019 fornisce importanti indicazioni sul modo in cui si potrebbe provare a delimitare i rischi di responsabilità che i sindaci corrono a fronte di recenti letture fornite dalla Cassazione in ordine alla disciplina degli interessi degli amministratori ex art. 2391 c.c.; interpretazioni che, per tali profili, destano qualche perplessità.

La norma da ultimo citata pone, in primo luogo, una regola generale di comportamento tesa a prevenire il rischio che il potere di gestione non sia correttamente esercitato e, in secondo luogo, procedimentalizza l’iter deliberativo, in modo coerente con la scelta della riforma del diritto societario del 2003 di valorizzare procedure e flussi informativi.
L’obbligo di informazione dell’interesse presenta carattere tanto quantitativo quanto qualitativo. L’amministratore deve, infatti, da un lato, comunicare ogni interesse, e quindi non solo quello che lo ponga in conflitto con la società, e, dall’altro, deve precisarne la natura, i termini, l’origine e la portata, qualificando la propria comunicazione che non può limitarsi alla mera esistenza dell’interesse.

Dalle pronunce della Cassazione nn. 32573, 32574 e 33047/2018 emerge come il primo comma dell’art. 2391 c.c. non possa essere riferito alle sole ipotesi di conflitto di interessi che in qualche modo siano poi andate a ripercuotersi su una delibera del CdA. La ratio della norma, infatti, sarebbe quella di assicurare l’esplicitazione di tutti i profili di possibile conflitto di interessi connessi a operazioni della società, a prescindere dall’effettiva incidenza del conflitto sui processi deliberativi interni al CdA. Questi processi, d’altra parte, sono presi in esame dai commi 2 e 3 dell’art. 2391 c.c. prevedendo, rispettivamente, l’obbligo di adeguata motivazione sulle ragioni e sulla convenienza dell’operazione che la delibera del CdA assunta in condizioni di conflitto di interessi deve presentare e l’obbligo degli amministratori non in conflitto e del Collegio sindacale di impugnare le delibere del CdA eventualmente adottate in violazione dell’obbligo di motivazione di cui al secondo comma.
Gli ultimi due commi (il quarto e il quinto), invece, al pari del primo, prescindono da una vicenda deliberativa e individuano l’area del pregiudizio risarcibile connesso alla condotta illecita dell’amministratore.

L’art. 2391 comma 1 c.c., quindi, pone a carico dell’amministratore in conflitto di interessi un obbligo generale e preventivo di rendere manifesta questa sua condizione soggettiva. Ciò per assicurare che essa sia nota a tutti gli altri componenti dell’organo di gestione e agli organi di controllo societario e per evitare che incida, anche in via indiretta, sui processi valutativi e deliberativi interni all’organizzazione aziendale, e, in particolare, del CdA o degli altri organismi e articolazioni cui è affidata in concreto la gestione. Tale norma, quindi, ha una portata applicativa generale che prescinde dall’effettiva incidenza del conflitto di interessi sulle delibere in concreto assunte dal CdA.

La Cassazione n. 126/2019, inoltre, ha affermato che il dovere di trasparenza degli amministratori in ordine ai propri interessi, sancito dall’art. 2391 c.c., prescinde dal ruolo effettivamente ricoperto e dalla eventuale conoscibilità altrimenti acquisibile della notizia, non è da correlare a una deliberazione del CdA o del Comitato esecutivo ed è configurabile anche in relazione alle riunioni delle articolazioni del CdA investite di compiti di controllo; nella specie, si trattava del Comitato di controllo interno previsto dal Codice di autodisciplina delle società quotate (cfr. anche Cass. n. 300/2019).
In tali circostanze, poi, è stata ravvisata la responsabilità dei sindaci per non essersi attivati nel denunciare gli amministratori che avevano agito in violazione delle indicazioni desumibili dall’art. 2391 c.c.

Assonime sottolinea come tali conclusioni rischino di rendere molto difficile l’adempimento diligente dell’incarico da parte del Collegio sindacale.
La posizione di “garanzia” che gli viene attribuita, infatti, lo espone al rischio di rispondere per omessa vigilanza anche per l’inadempimento a un dovere di comportamento dell’amministratore che si sia verificato in una sede diversa da quella in cui si assumono delibere. Se questa interpretazione si dovesse consolidare, aumenterebbe ulteriormente il livello già molto alto di diligenza che ci si attende dai sindaci.

Per evitare di estendere eccessivamente la responsabilità dei sindaci, che, si ricorda, non è una responsabilità da posizione, si propone, quindi, l’adozione, da parte della società, di procedure mirate e flussi informativi che impongano all’amministratore che abbia un interesse proprio (o per conto terzi) di darne notizia a tutti gli amministratori e a tutti i sindaci non appena questa circostanza possa assumere rilevanza.
Si potrebbe per tal via pervenire a un bilanciamento tra le regole di corretta amministrazione e quelle di responsabilità del Collegio sindacale (che comunque è fondata sulla colpa e non ha carattere oggettivo), il quale è tenuto a effettuare una sorveglianza di tipo sostanziale sugli atti di gestione, sui processi, sulle procedure che passa anche attraverso la valutazione dell’efficienza del sistema dei controlli interni.