Nell’inesistenza oggettiva riguardo va dato alle prestazioni di servizi
Le frodi IVA, si pensi alla classica frode carosello ma non solo, hanno sempre implicazioni penali e, sul versante tributario, comportano spesso anche il recupero dei costi.
Peraltro, in riferimento a questi ultimi, il disconoscimento ai fini delle dirette è necessario, secondo l’orientamento della giurisprudenza penale (si veda “Rebus deducibilità per l’inesistenza soggettiva” del 14 gennaio 2019), pure se si tratta di inesistenza soggettiva.
Nel quaderno Eutekne n. 145 (“Le frodi IVA. Profili fiscali e penali”), vengono analizzati tutti i possibili spunti di difesa per il contribuente. Ma ciò rappresenta altresì un utile strumento di ausilio per il funzionario dell’Agenzia delle Entrate, posto che, esaminando i diversi orientamenti giurisprudenziali sul tema, può adottare un quanto più efficiente approccio alla problematica.
Come purtroppo spesso succede, l’Agenzia delle Entrate è solita ritenere automaticamente coinvolti in una frode tutti coloro i quali risultano avere acquistato beni o servizi non solo da cartiere, ma anche da società filtro.
Ormai, la giurisprudenza comunitaria, con tesi recepita in ambito interno, è costante nell’affermare che nell’inesistenza soggettiva al cessionario può essere negata la detrazione solo nella misura in cui sia dimostrato, sulla base di elementi oggettivi (anche presuntivi, a condizione che le presunzioni siano gravi, precise e concordanti), o che egli fosse consapevole della frode, o, quantomeno, che “non potesse non sapere” della stessa. Entra in gioco il concetto di diligenza e diventa molto importante essere in grado di dimostrare le cautele adottate prima di iniziare a instaurare rapporti con la controparte commerciale (esame dei bilanci e delle visure, per fare qualche esempio).
La casistica giurisprudenziale è assai vasta, ed è come anticipato molto utile per gli operatori del diritto tributario. Nel campo dell’inesistenza soggettiva, talvolta niente è come sembra: se l’assenza di mezzi organizzativi in capo al cedente può essere un indizio, ciò diventa irrilevante se egli è un broker, quindi un intermediario commerciale, che per operare può disporre solo di un telefono e di un fax. Ancora, se un indizio può essere rappresentato dalla celerità con cui i beni vengono scambiati, questo diventa irrilevante se si tratta di settori merceologici, come quello dei prodotti elettronici, in cui la celerità appare fisiologica.
Ma ciò vale anche per il contrario. Infatti, se è indubbio che, in ambito IVA, la presenza del reverse charge rende priva di utilità economica la frode, questo non significa che la frode non sussista. Infatti, può essere strumentale all’immissione nel mercato di merce proveniente da reato o alla creazione di fondi neri.
Passando all’inesistenza oggettiva, è a livello generale corretto sostenere che le controparti, per definizione, sono entrambe partecipi e consapevoli della frode.
Ma così non è, o meglio così potrebbe non essere nella sovrafatturazione, prassi comune ad esempio nel settore delle sponsorizzazioni sportive. Nel momento in cui si appura che un soggetto ha gonfiato le vendite per consentire a terzi di dedurre più costi del dovuto, non è automatico che ciò sia avvenuto in capo a tutti i coloro i quali hanno acquistato servizi da tale soggetto.
Un fattore molto importante in tema di frodi è dato dalla circolazione degli elementi probatori tra processo penale e tributario. Le intercettazioni telefoniche, strumento non a disposizione degli uffici finanziari ma utilizzabile se proveniente da indagini penali, possono essere rappresentative solo se dalle conversazioni emergono elementi univoci che fanno scaturire la presenza di una frode, e la consapevolezza della stessa in capo all’indagato.