Se due società dello stesso gruppo, di cui una in perdita, vogliono scaricare su questa elementi positivi di reddito, va provato il concorso nel reato
Con il DLgs. 158 del 2015 il reato di “dichiarazione infedele” di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000 è stato modificato nel senso che non si parla più di elementi passivi “fittizi”, ma di elementi passivi “inesistenti” (comma 1), e questo allo scopo di eliminare la rilevanza penale di dati per i quali si possa ritenere che, pur oggettivamente esistenti, non siano deducibili ad esempio per ragioni di competenza, inerenza o altri motivi non di fatto ma di mera interpretazione giuridica.
Tale importante intervento interpretativo, mirante a eliminare dal rischio penale tutte le questioni tributarie e civilistiche a contenuto meramente discutibile, viene ripetuto anche nel nuovo comma 1-bis dello stesso articolo, pure introdotto nel 2015, dove si dice che “non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”.
Collegando tra di loro le due norme, si pone il seguente dubbio relativo al caso di due società facenti parte dello stesso gruppo, una delle quali sia in perdita e l’altra in attivo, per cui vi sia l’interesse a scaricare sulla prima degli elementi positivi di reddito. In tal caso non si può applicare quanto disposto nel comma 1 del citato art. 4, che si riferisce solo agli “elementi passivi inesistenti”. Neppure può riferirsi al caso quanto disposto nel comma 1-bis dello stesso articolo, il quale stabilisce che “non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti”.
Nei casi concreti di questo genere, che si possono presumere frequenti, il problema può quindi essere risolto soltanto facendo ricorso alla dimostrazione del concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p., ovviamente da ritenersi esistente nel caso concreto, tra gli amministratori delle due società, che hanno agito in accordo per sottrarre materia imponibile al Fisco (com’è ben prevedibile avvenga trattandosi di società dello stesso gruppo).
Schematicamente, quindi: la società del gruppo in attivo scarica elementi positivi di reddito sulla società del gruppo in passivo; la prima non risponde alla lettera del reato di cui all’art. 4 citato in quanto dichiara dei redditi a proprio favore; la seconda neppure risponde di tale reato in quanto anch’essa dichiara propri redditi; si può pervenire all’individuazione del reato tributario solo dimostrando l’esistenza dell’accordo tra le due società.
Il suddetto accordo può essere agevolmente dimostrato trattandosi di società dello stesso gruppo. Peraltro, qualche difficoltà probatoria potrebbe sussistere nel caso dell’intervenuto cambio di amministratori della società “ricevente” del reddito, nel caso in cui l’accordo fra i due precedenti amministratori non fosse conosciuto da quello succeduto; e tutto questo al fine della necessaria dimostrazione in giudizio del dolo specifico (“fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”) richiesto dall’art. 4 in esame.