Diversi i profili da precisare in relazione all’invalidità della delibera di approvazione di un bilancio
In tema di conseguenze correlate alla dichiarazione giudiziale di invalidità del bilancio d’esercizio sussistono non banali aspetti problematici.
Ai sensi dell’art. 2434-bis c.c., le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo.
La legittimazione a impugnare la deliberazione di approvazione del bilancio su cui il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti ha emesso un giudizio privo di rilievi spetta a tanti soci che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale.
Il bilancio dell’esercizio nel corso del quale viene dichiarata l’invalidità di cui sopra tiene conto delle ragioni di questa.
Ai sensi dell’art. 2377 comma 7 c.c., inoltre, l’annullamento della deliberazione ha effetto rispetto a tutti i soci e obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità.
Per il Tribunale di Roma n. 19829/2014, in forza di quest’ultima disposizione, una volta intervenuta la “definitiva” dichiarazione di invalidità della delibera di approvazione di un bilancio per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta, scatta l’obbligo degli amministratori (quali “provvedimenti conseguenti”) sia di redigere un nuovo progetto di bilancio, depositarlo presso la sede sociale, convocare l’assemblea per la nuova approvazione e depositarlo, nel nuovo testo, presso il Registro Imprese, sia di adottare tutte le correzioni necessarie ai bilanci successivi, se e nella misura in cui le rettifiche apportate al primo bilancio impugnato producono conseguenze riflesse sulle poste dei bilanci successivi (correzioni delle quali potrebbe anche non esservi bisogno).
E, quindi, coloro che hanno impugnato una delibera di approvazione del bilancio, per i motivi suddetti, non solo non hanno l’onere di impugnare tutti i bilanci successivi, sino alla definitiva sentenza, ma non hanno nemmeno il diritto di farlo, perché la pretesa all’adempimento di quanto imposto dall’art. 2377 comma 7 c.c. diventa concreta e attuale solo quando le invalidità denunciate risultino definitivamente accertate.
La Cassazione n. 4522/2016, invece, ha stabilito che l’art. 2434-bis comma 3 c.c. impone agli amministratori di redigere nuovamente (anche) il bilancio dichiarato definitivamente irregolare in sede giurisdizionale, e i bilanci successivi sui quali l’irregolarità di quello si sia, in qualche modo, ripercossa. Peraltro, in relazione al caso affrontato, ha altresì precisato come, essendo “tutti i bilanci successivi al 1981 e fino al 2005 da considerarsi … pienamente legittimi, o perché non impugnati, o perché dichiarati tali in sede giurisdizionale, gli amministratori della … spa non avevano altro obbligo che quello di far riapprovare i bilanci [contestati e relativi] al 1979, 1980 e 1981, dichiarati definitivamente invalidi…”.
La Suprema Corte – osserva il Tribunale di Napoli del 3 maggio 2017 – delinea talune preclusioni all’applicazione del combinato disposto degli artt. 2377 e 2434-bis c.c. :
– la declaratoria giurisdizionale di legittimità dei bilanci intermedi (sulla quale non pare sussistano contrarie indicazioni);
– l’omessa impugnativa di tali bilanci (soluzione di particolare importanza).
I giudici napoletani ritengono, quindi, come sia evidente che, ai fini del travolgimento (oltre che di quello impugnato) dei bilanci intermedi e di quello relativo all’esercizio nel corso del quale ha assunto carattere definitivo la sentenza che ha deciso sull’impugnazione di un documento, assuma rilievo anche l’atteggiamento tenuto, dal socio o dal terzo, sui documenti intermedi. A maggior ragione nel caso in cui questi si siano saldati al precedente, senza emendarne i presunti vizi. Assume, cioè, importanza la scelta del socio, sia di approvazione espressa (con l’esercizio del proprio diritto di voto) e sia di omessa impugnazione del bilancio (contenente i medesimi vizi) successivo a quello avversato.
In conclusione, osserva il Tribunale di Napoli, “pur a concedere che l’annullamento o la dichiarazione di nullità di una delibera di bilancio (al momento della sua definitività) imponga la riformulazione di quello impugnato, di quelli intermedi e di quello dell’ultimo esercizio in corso al giudicato, non può che ritenersi che le ultime attività (imposte a pena di responsabilità all’amministratore) debbano intendersi precluse sia da pronunzie definitive riguardanti i bilanci successivi (che ne abbiano rigettato l’impugnazione), sia dalla relativa mancata impugnativa”.
Da tali precisazioni, peraltro, si fa derivare l’importante conseguenza del rigetto in rito, per assenza dell’interesse ad agire, dell’impugnazione di un bilancio (nella specie, relativo al 2013), dal momento che, nelle more del giudizio, erano stati approvati i bilanci successivi (relativi al 2014 e 2015) senza che il socio impugnante avesse partecipato alle assemblee o avesse spiegato gravame avverso i medesimi.
È reputata, infatti, carente una lesione concreta e attuale della sfera giuridica dell’attore e un’effettiva utilità che potrebbe derivare dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato.