Per i redditi diversi realizzati a partire dal prossimo anno scatta il nuovo regime per i soggetti non imprenditori
La legge di bilancio 2018 ha riformato in modo significativo il regime dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, uniformando il trattamento dei dividendi e delle plusvalenze “qualificati” a quello delle analoghe componenti di natura non qualificata e prevedendone quindi la tassazione rispettivamente con ritenuta a titolo d’imposta o con imposta sostitutiva del 26%.
Prima delle modifiche in commento, le plusvalenze su partecipazioni qualificate (non black list) erano tassate in capo alle persone fisiche non imprenditori:
– nel limite del 40%, se realizzate entro il 31 dicembre 2008;
– nel limite del 49,72%, se realizzate dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2017;
– nel limite del 58,14%, se realizzate dal 1° gennaio 2018.
A partire dai redditi diversi realizzati dal 1° gennaio 2019, invece, le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate scontano l’imposta sostitutiva del 26%.
Con l’approvazione della L. 205/2017, anche le società semplici e gli enti non commerciali applicano l’imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze derivanti da partecipazione qualificate e non qualificate, realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2019.
In merito alla cessione di partecipazioni da parte di soggetti non imprenditori, la plusvalenza (o la minusvalenza) che rappresenta il presupposto impositivo del capital gain si origina con il trasferimento della proprietà della partecipazione o del titolo.
Tuttavia, secondo quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria, tale plusvalenza diviene imponibile quando viene percepito il corrispettivo (circ. 27 giugno 2014 n. 19).
Pertanto, il trasferimento di proprietà della quota sociale è il presupposto per il realizzo della plusvalenza (minusvalenza) da cessione, che viene attratta a tassazione nel rispetto del “principio di cassa”, secondo la regola generale vigente per i redditi diversi.
Se nei periodi d’imposta precedenti a quello in cui si effettua la cessione, il contribuente ha percepito delle somme a titolo di acconto, esse verranno computate ai fini della determinazione del corrispettivo, perché, applicando questo principio, gli acconti non sono imponibili nell’anno in cui sono percepiti, ma in quello in cui la cessione si perfeziona.
Perciò, se si stipula un contratto preliminare che prevede la corresponsione di acconti nell’anno 2018 e la stipula del contratto (o dell’atto) definitivo nell’anno 2019, le somme percepite a titolo di anticipazione saranno imponibili nel periodo d’imposta in cui la cessione si realizza, ossia il 2019.
Se viene pattuito un corrispettivo dilazionato, opera il principio contenuto nell’art. 68comma 7 lett. f) del TUIR, ai sensi del quale “nei casi di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o valore di acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d’imposta”.
Facendo, quindi, riferimento alla situazione in cui l’atto di cessione è stato stipulato nel 2018, ma è stato pattuito un corrispettivo rateale (ad esempio, il 60% nella prima metà del 2018 e il 40% rimanente nel 2019):
– il 60% della plusvalenza complessiva deve essere tassato nella dichiarazione da presentarsi per il 2018, e il 40% rimanente nella dichiarazione da presentarsi per il 2019;
– in entrambe le dichiarazioni, però, tali redditi scontano l’IRPEF progressiva, computata sul 58,14% del provento, e non l’imposta sostitutiva del 26%.
Per quanto riguarda le cessioni frazionate, sono state abrogate le disposizioni contenute:
– nell’art. 68 comma 7 lett. b) del TUIR, secondo cui, in caso di superamento delle soglie di qualificazione, i corrispettivi percepiti anteriormente al periodo d’imposta nel quale si è verificato il superamento si considerano percepiti in tale periodo;
– nell’art. 5 comma 4 secondo periodo del DLgs. 461/97, che consente di portare in detrazione dalle imposte sui redditi l’eventuale imposta sostitutiva pagata fino al superamento delle soglie di qualificazione.
Le norme si ricollegavano alla previsione – contenuta nell’art. 67 comma 1 lett. c) del TUIR, rimasta invariata – per cui, ai fini della valutazione del superamento o meno della soglia, occorre tenere conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di 12 mesi (anche in due periodi d’imposta diversi), anche nei confronti di soggetti diversi. Esse consentivano, nei fatti, di detrarre l’imposta sostitutiva pagata dall’IRPEF dovuta nel periodo d’imposta successivo.
Visto che, con le modifiche in commento, le plusvalenze di natura qualificata sono tassate in modo analogo a quelle di natura non qualificata, le due norme risultano di fatto inutili, in quanto ciascuna “fascia”, di qualunque entità, viene comunque tassatacon imposta sostitutiva del 26%.