Il DLgs. recante il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza introduce obblighi organizzativi e di segnalazione interna ed esterna
La previsione e anticipazione delle crisi d’impresa è da sempre una dei principali problemi degli operatori economici. Al di là delle ovvie necessità del sistema bancario, è generale convinzione che una diagnosi tempestiva, come per le malattie umane, sia più efficace ai fini della terapia.
Anche raccogliendo gli spunti europei, il legislatore italiano ha meritoriamente affrontato il tema, dando compiuta formulazione alla “procedura” di allerta.
Rispetto a una precedente bozza, il DLgs. recante il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 155/2017, approvato dal Consiglio dei Ministri e sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari, ha accolto buona parte delle istanze provenienti dal mondo dell’economia reale sul tema. Pur con l’esigenza di qualche intervento di perfezionamento, oggi si può dire che la nuova norma costituisca lo strumento per attivare l’auspicato cambio culturale nell’intercettare la crisi e anche nel fare impresa. A una guida storicamente basata sullo specchietto retrovisore, si affiancano i fari che permettono di comprendere dove stia andando l’impresa. Questo è un valore a prescindere dalla situazione di crisi, poiché consente di assumere decisioni strategiche con maggiore consapevolezza, di monitorare l’andamento aziendale e di ridurre la commissione di errori per eccesso di confidenza.
Per quanto riguarda l’impianto normativo dell’allerta, in base all’art. 12 costituiscono strumenti di allerta della crisi sia la (temuta) segnalazione degli indicatori di crisi attraverso il processo dell’allerta interna, sia la (ancor più temuta) segnalazione da parte dei creditori qualificati, ma lo sono anche e prima ancora gli obblighi organizzativi di istituire presidi per la tempestiva rilevazione della crisi (art. 3 del Codice che modifica l’art. 2086c.c.).
Si tratta con ogni evidenza di obblighi che, rispetto alle ottiche retrospettive, impongono il primato del forward looking al quale lo schema sembra riferirsi quando richiede la valutazione in continuo dell’equilibrio finanziario (art. 14 del Codice) e quando definisce la crisi in termini di inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (art. 2 del Codice). Prima d’ora, lo aveva già fatto il principio contabile interno OIC 9 che, conformandosi a quello internazionale IAS 36, aveva chiesto un salto culturale nella valutazione di bilancio degli asset, riferendola al valore attuale dei flussi prognostici che ne deriveranno. Che si tratti di un salto culturale lo dimostra il fatto che ad oggi solo una parte delle imprese pare essersi attrezzata per rispettare pienamente il principio, redigendo il piano d’impresa, che ne è il necessario presupposto informativo.
Accanto ai presidi organizzativi si pongono gli obblighi di segnalazione interna (da parte dell’organo di controllo e del revisore) di cui all’art. 13 ed esterna (da pare di creditori pubblici qualificati) di cui all’art. 15. Questi ultimi sono stati mitigati per tenere in qualche modo conto dell’involontaria incentivazione alla violazione dei termini di pagamento derivante da una certa inerzia del creditore pubblico e dall’opportunità derivante dalle plurime disposizioni di clemenza che consentono di contenere il relativo onere per interessi e sanzioni addirittura al di sotto del costo del debito bancario. I primi, invece, sono stati rivisti nella loro struttura per evitare il rischio, temuto dagli aziendalisti, di “falsi positivi” e cioè di segnalazioni automatiche, pur in assenza di una concreta situazione di crisi, che avrebbero comportato di fatto la sua insorgenza in soggetti che ne erano esenti.
È ben vero che la norma individua gli indicatori interni di crisi negli squilibri economici, finanziari e patrimoniali, con il rischio che si pervenga a una pletora di indici, ma il testo del Codice si preoccupa subito di precisare che devono intendersi per tali quelli atti a intercettare (“che diano evidenza di”) un rischio di sostenibilità dei debiti scadenti nei sei mesi successivi o di pregiudizio della continuità aziendale nell’esercizio in corso (o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi). Il fatto che, per la rilevanza della segnalazione, l’insolvenza debba essere così prossima permette all’impresa ampi margini per gestire internamente le difficoltà finanziarie e nel contempo di evitare l’apertura di un numero eccessivo di tavoli di crisi presso l’OCRI, con il rischio di decretarne di fatto il fallimento per ingorgo già nella fase della sua prima implementazione.
Sono state anche valorizzate le caratteristiche specifiche delle imprese, prevedendo che il CNDCEC, chiamato a elaborare gli indici, li differenzi per settori di appartenenza e individui indicatori ad hoc per le start up e le PMI innovative, nonché per le imprese costituite da meno di due anni. Ma la vera novità al riguardo, da accogliere con grande favore, risiede nella possibilità del debitore di disattivare gli indici che ritiene a lui non applicabili, dai quali deriverebbe il rischio della generazione di falsi positivi, proponendone ex ante altri a lui più adeguati, a condizione che ciò venga attestato da un professionista indipendente e ne venga data notizia nella Nota integrativa. Con ciò si ottiene un ulteriore avvicinamento tra le partecipate pubbliche che, pur soggette alle disposizioni del Codice della crisi, dovevano già rappresentare nella relazione sul governo societario il programma di valutazione del rischio di crisi aziendale per effetto del disposto dell’art. 6 del DLgs. 175/2017.
Peraltro, non tutte le modifiche apportate convincono. Ci si riferisce agli indicatoriindividuati come “significativi” al primo comma dell’art. 13. Si tratta del rapporto tra flusso di cassa e attivo che necessiterebbe di essere rivisto in quanto in sé non è comprensibile: basti infatti osservare che all’attivo concorrono le disponibilità liquide e l’indicatore peggiorerebbe al crescere di esse.
È, infatti, indispensabile che gli indicatori (in verità “indici” nella specie) siano comprensibili nelle cause e razionali nella loro capacità predittiva; diversamente non si vede come l’organo amministrativo e l’attestatore possano proporre sostituzioni illustrandone le “ragioni” nella Nota integrativa. Sarebbe da modificare anche il secondo indicatore costituito dal rapporto tra patrimonio netto e passivo, il cui denominatore dovrebbe essere sostituito dall’indebitamento finanziario netto. Anche il terzo e ultimo indicatore, costituito dal rapporto tra oneri finanziari e ricavi, che nelle intenzioni del legislatore vorrebbe intercettare una situazione di insostenibilità del debito, potrebbe più utilmente vedere, al denominatore, la ben più rilevante grandezza della marginalità operativa. Il volume dei ricavi non è, infatti, diversamente dalla marginalità, indicativo del livello di sostenibilità del debito.
Le disposizioni del Codice non entreranno immediatamente in vigore ma è prevista una vacatio legis di 18 mesi. Si tratta di una disposizione quanto mai opportuna, non solo per rimuovere inevitabili imprecisioni ma principalmente per consentire alle imprese di attrezzarsi adottando internamente i presidi occorrenti e, quel che più conta, per permettere loro di rilevare situazioni che, con l’entrata in vigore della norma, comporterebbero le segnalazioni esterne. Nella relazione accompagnatoria si dà atto che almeno 12.000 imprese verserebbero già ora in tali situazioni.
Queste imprese dovranno attivarsi quanto prima per assumere le iniziative occorrenti per giungere preparate davanti all’OCRI il cui intervento a quel punto, da minaccia di una rapida escalation della crisi, diventerà il facilitatore nelle negoziazioni o nell’accesso alla procedura concordataria. Giova al riguardo osservare che, cogliendo una delle istanze pervenute dalle categorie professionali e dalle imprese, è stato previsto che uno dei membri del collegio dell’OCRI sia designato avendo prima sentito il debitore rimuovendo così, almeno in parte, la diffidenza dell’impresa nei confronti del nuovo istituto.
In sintesi, l’introduzione delle misure di allerta deve essere colta come un’opportunità, ma perché divenga veramente tale occorre che le imprese, sin da ora, assumano approccio proattivo, sviluppando l’attenzione al rischio e al mutamento necessaria oggi per competere sul mercato. In ciò fondamentale sarà il ruolo dei professionisti che le assistono e quello delle associazioni di categoria.