Secondo diverse stime, in base a quanto previsto dal disegno di legge di bilancio, per effetto dell’estensione della flat tax a coloro che dichiarano meno di 65.000 euro, almeno 1.500.000persone fisiche titolari di partita IVA potrebbero venire escluse dall’obbligo di fatturazione elettronica.
Se così fosse, oltre a essere esclusi dalla fattura elettronica, questi soggetti, anche a causa delle complicazioni indotte dal subentrato obbligo di conservazione digitale delle fatture passive nel frattempo divenute elettroniche, finiranno per sommarsi ai privati che, generalmente, non hanno alcun interesse a richiedere la fattura.
Lo scenario potrebbe dunque essere il seguente.
Da una parte almeno un milione e mezzo di soggetti per cui niente fattura passiva di fatto potrebbe voler dire niente (per loro inutile e complicata) conservazione sostitutiva e niente tassazione per i loro dirimpettai venditori. A pensare male non si sbaglia quasi mai.
Dall’altra, l’abolizione dello spesometro che, insieme a soggetti esteri e soggetti esentati dalla fattura elettronica, ridurrà drasticamente l’efficacia complessiva del sistema come strumento di controllo. Le procedure di controllo automatizzato si fondano infatti proprio sulla comparazione del comportamento tenuto da due soggetti (chi compra e chi vende) che hanno interessi contrapposti.
Ma se dal sistema mancheranno un terzo degli attori (esteri ed esclusi) e una certa quota di fatture, in quanto molti più soggetti potranno essere tentati dall’interesse divenuto comune a non fare la fattura, che comparazioni si potranno fare?
Non è irrealistico attendersi che l’effetto combinato di fattura elettronica depotenziata e spesometro spuntato finiscano per ridurre di molto l’effetto positivo in termine di gettito attribuito loro dalla legge di bilancio.
Come dire, massimo sforzo, minimo risultato.
Il Pil italiano ha segnato nel terzo trimestre una battuta di arresto, interrompendo la fase costantemente positiva iniziata nel 2015. Sia la domanda interna che le esportazioni hanno fornito un apporto pari a zero. A settembre la stima delle persone in cerca di occupazione è tornata a salire (+3,2%, pari a +81 mila unità). Il tasso di disoccupazione generale sale al 10,1% (+0,3 punti percentuali su base mensile), come pure quello giovanile (+0,2 punti) raggiungendo il 31,6%.
Negli ultimi sei mesi la borsa italiana ha perso il 20% del suo valore. Lo spread è praticamente triplicato passando da 113,63 bps il 25 aprile a 321,06 bps mercoledì 24 ottobre.
Il ponte Morandi è caduto, molte Province italiane sono state devastate dal maltempo.
Direi che per un po’ potrebbe bastare.
Ad oggi, 15 novembre 2018, a 46 giorni dall’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica, almeno 15 dei quali non lavorativi, praticamente nessuno emette fatture elettroniche, nemmeno i benzinai.
Perché dunque ostinarsi nell’imporre uno strumento che avrà impatti nulli, se non negativi, sul gettito ed effetti organizzativi difficili da controllare, paralizzando per mesi gli uffici amministrativi delle imprese italiane? Perché obbligarle tutte insieme a un mega superlavoro proprio nel momento dell’anno meno propizio, esponendole alla possibilità di incappare in errori e quindi in sanzioni anche gravi, mentre quelle degli altri Paesi europei ed extraeuropei potranno continuare a lavorare indisturbate? Perché accettare questo rischio? Perché questo autolesionismo? Non c’è nemmeno l’Europa a chiedercelo esplicitamente.
Lo so bene, sono come uno degli ultimi giapponesi, asserragliato in un atollo del pacifico a tirare sassi con la fionda alle corazzate americane a guerra abbondantemente finita. Mi faccio tenerezza da solo. Forse sarà l’età, ma la fatica e la sofferenza artificialmente indotte e come tali perfettamente inutili non ce la faccio proprio ad accettarle.