È legittimo predisporre una riorganizzazione societaria, sfruttando anche agevolazioni fiscali ove possibile

Di Alessandro BORGOGLIO

L’Amministrazione finanziaria non può contestare al contribuente l’abusività di un complesso di operazioni poste in essere in funzione di precise scelte imprenditoriali e avvalendosi di disposizioni di legge, comprese quelle agevolative e di opportunità economica previste dall’ordinamento vigente, e ciò al fine di effettuare il passaggio generazionale dell’azienda secondo un determinato schema giuridico piuttosto che un altro fiscalmente più oneroso. Lo ha stabilito la C.T. Reg. della Lombardia, sez. staccata di Brescia, con la sentenza n. 2236/23/18.

Da quanto è dato comprendere dalla parte motiva della pronuncia, l’Ufficio aveva contestato l’abuso del diritto in relazione a talune operazioni societarie, comprendenti fusione per incorporazione, cessioni e rivalutazione di quote sociali, che – per semplificare – avrebbero coinvolto due diverse società, una operativa che svolgeva l’attività di trasporto di persone, e una immobiliare, che deteneva gli immobili utilizzati di fatto dalla prima, nonché due soci persone fisiche ed i relativi figli.
Secondo la tesi dei contribuenti, tutte le operazioni contestate dal Fisco sarebbero in realtà state poste in essere al solo fine di realizzare il passaggio generazionale, mediante una riorganizzazione societaria, che aveva determinato l’uscita dalla compagine sociale dei soci anziani, per far entrare, appunto, i figli.

Al di là della specifica sequenza di operazioni – rivalutazione delle quote societarie, accensione del mutuo e deduzione degli interessi passivi, fusione per incorporazione preceduta dalla cessione delle quote di partecipazione detenute nelle due società – quello che è rilevante nella sentenza in commento è la motivazione formulata dai giudici di merito, laddove il collegio afferma che “le scelte imprenditoriali e, per l’effetto, i relativi rischi sono unicamente posti in capo all’imprenditore, che non può essere sostituito da altri soggetti, i quali, esprimendo soltanto opinioni più o meno fondate, non rispondono personalmente, soprattutto finanziariamente delle scelte tipicamente imprenditoriali.

Pertanto, le due operazioni alternative, rispetto a quella posta in essere dal contribuente, tratteggiate dall’Ufficio nell’avviso d’accertamento e fatte proprie dai primi giudici, senza alcuna giustificazione, né alcun fondamento e/o critica prevalente rispetto alle legittime scelte fatte dal contribuente, sono prive di supporti in diritto e nel merito”.
Insomma, le conclusioni dei giudici regionali sono chiare: l’Ufficio non può contestare l’abusività delle operazioni poste in essere dal contribuente soltanto perché questi, al fine di realizzare gli stessi effetti economici, avrebbe potuto porne in essere altre (parimenti lecite, ovviamente, come quelle effettivamente realizzate) che, tuttavia, avrebbero comportato un maggior carico fiscale.

In effetti, l’art. 10-bis della L. 212/2000 sembra proprio porre l’attenzione su questi aspetti, laddove ai commi 3 e 4 esclude l’abusività, in ogni caso, delle operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente, restando, peraltro, ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

Si ricorda che anche la Cassazione, ancorché prima dell’emanazione della disposizione statutaria testé richiamata, aveva stabilito che il fatto che un’operazione comporti anche un più favorevole regime fiscale non è ex se sufficiente ad integrare la figura dell’abuso di diritto, perché ciò confligge palesemente con il diritto d’impresacostituzionalmente tutelato e implica una indebita invasione nella sfera delle scelte imprenditoriali, che non possono essere sindacate dagli Uffici finanziari alla stregua dei criteri di opportunità e convenienza, ma soltanto ove le operazioni evidenzino caratteri di antieconomicità ed irrazionalità tali da richiedere una specifica giustificazione della condotta tenuta dall’impresa, non essendo dato rinvenire nell’ordinamento tributario norme che vincolino il soggetto imprenditore a ricorrere a determinate modalità di finanziamento piuttosto che ad altre (cfr. Cass. n. 17175/2015 in materia di sale & lease back).

Infine, sia consentito evidenziare che, forse, per decidere sul caso di specie sarebbe stato sufficiente considerare il semplice dato quantitativo: a fronte di operazioni asseritamente elusive per un valore complessivo di un paio di milioni di euro, l’indebito vantaggio fiscale contestato era stato minimo, circostanza abnorme (come direbbe la Cassazione) evidenziata anche dal collegio di merito.
Sarebbe stato allora forse utile, in sede di approvazione della nuova disciplina antielusiva racchiusa nelle disposizioni statutarie, introdurre anche una soglia minima(magari percentuale) per procedere alle “delicate” contestazioni in oggetto.