La rigida interpretazione della Cassazione non lascia spazio per l’interpretazione retroattiva dell’art. 15-ter del DPR 602/73
In base a quanto stabilito dall’art. 3-bis del DLgs. 462/97, in caso di rateazione delle somme da definizione dell’avviso bonario, il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta necessariamente la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena.
A nulla rileva il lieve ritardo nel pagamento sanato mediante ravvedimento operoso, posto che l’art. 15-ter del DPR 602/73 non può essere oggetto di interpretazione retroattiva.
Sono questi, in sostanza, i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione lo scorso 4 giugno con l’ordinanza n. 14279.
A impedire il perfezionamento della definizione, nel caso di specie era stato il ritardo nel pagamento della prima rata. Per evitare il disconoscimento della rateazione (e quindi anche della definizione), il contribuente si era avvalso del ravvedimento operoso (presumibilmente avvenuto entro il termine di pagamento della seconda rata), ritenendo altresì provata la propria buona fede sulla base dell’avvenuto versamento delle sanzioni e degli interessi. Rilevava, inoltre, l’assenza di danno all’Erario, in quanto la rateazione era già stata concessa.
Contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rilevando che il mancato pagamento della prima rata non può che portare alla decadenza della rateazione e, quindi, al versamento delle imposte, interessi e sanzioni in misura piena e all’iscrizione a ruolo dei relativi importi, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2, 3-bis del DLgs. 462/97 e 14 del DPR 602/73.
Si rammenta che il DLgs. 159/2015 ha introdotto nel sistema l’art. 15-ter del DPR 602/73, che, nell’intento di mantenere salva la dilazione degli avvisi bonari, prevede ora una serie di lievi inadempimenti che consentono di evitare la decadenza (ad esempio, il tardivo pagamento contenuto nei sette giorni o il limite dei 10.000 euro).
Per i giudici, la normativa di riferimento è entrata in vigore il 22 ottobre 2015 e, pertanto, la sua applicazione è esclusa nei periodi di imposta pregressi (si aggiunge che l’art. 15 del DLgs. 159/2015 ha anche previsto una disciplina transitoria, non operante, però, nel caso in oggetto).
Solo, quindi, per il futuro, la dilazione e la definizione non decadono se l’inadempimento è contenuto entro i limiti, temporali o quantitativi, descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 15-ter del DPR 602/73.
L’ordinanza in commento si pone in linea con quanto affermato dalla stessa Cassazione con la pronuncia n. 9176 del 6 maggio 2016.
Bisogna però rilevare che, secondo cospicua giurisprudenza di merito, vuoi in applicazione dei principi di buona fede e di leale collaborazione che devono sussistere tra le parti, vuoi applicando retroattivamente l’art. 15-ter del DPR 602/73, anche per il pregresso in presenza di lievi inadempimenti la definizione nonché la dilazione non potevano saltare (C.T. Reg. Palermo sez. Catania 4 luglio 2018 n. 2773/5/18, C.T. Reg. Genova 21 ottobre 2016 n. 1227/4/16, C.T. Reg. Roma 30 maggio 2016 n. 3410/1/16).