Il “sistema 231” va integrato dalle disposizioni del codice di rito penale se non c’è una norma speciale sull’atto da compiersi nei confronti dell’ente
È affetta da nullità la richiesta di rinvio a giudizio per illecito amministrativo ex DLgs. n. 231/2001 nei confronti dell’ente il cui legale rappresentante non sia stato invitato a presentarsi a rendere l’interrogatorio tempestivamente richiesto.
Il principio, fissato dalla Cassazione con la sentenza n. 31641 depositata ieri, si inserisce nell’elaborazione giurisprudenziale, spesso all’attenzione della Corte di legittimità, concernente il delicato tema del rapporto tra procedimento penale per il reato presupposto e procedimento per la responsabilità da reato delle persone giuridiche.
La vicenda giunta all’esame della Corte riguardava un infortunio sul lavoro che aveva comportato, nei gradi di merito, la condanna del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose gravi e, per la società, l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 25-septies DLgs. n. 231/2001.
Peraltro, in attesa del giudizio di legittimità promosso da entrambi i soggetti – persona fisica e persona giuridica – era maturato il termine prescrizionale del reato, così che la Corte, in assenza di risultanze idonee a escludere la sussistenza del fatto, la commissione dello stesso da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale, ha riconosciuto, nei confronti dell’imputato, la specifica causa estintiva.
Tuttavia, per la Cassazione la dichiarazione di prescrizione del reato presupposto non può incidere sulla perseguibilità dell’illecito amministrativo che, al verificarsi della specifica causa estintiva, sia già stato contestato alla persona giuridica.
L’art. 60 del DLgs n. 231/2001, infatti, nel disporre che non può procedersi alla contestazione dell’illecito amministrativo quando il reato da cui esso dipende è estinto per prescrizione, non impedisce di proseguire il procedimento già incardinato. D’altronde, l’illecito dell’ente non segue le regole della prescrizione penale bensì quelle previste dal codice civile (artt. 2943-2945) e non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento (Cass. n. 20060/2013).
La condanna per responsabilità amministrativa, pur se presuppone la commissione di un reato perfetto in tutti i suoi elementi, rimane autonoma processualmente dalla condanna per responsabilità penale, come confermato dall’art. 8 del DLgs. n. 231/2001, che ne prevede la sussistenza anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile; ovvero, appunto, quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
Tuttavia, il principio di autonomia delle condanne, penale e amministrativa, comporta – per il dictum della Corte – che si pervenga all’accertamento dell’illecito amministrativo comunque nel rispetto delle esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’ente, strettamente correlate alla contiguità con il fatto-reato.
Ne discende che al procedimento nei confronti della persona giuridica si applicheranno, qualora non dispongano le specifiche disposizioni del testo normativo (artt. 34 a 82 DLgs. n. 231/2001), le norme compatibili del codice di rito penale in virtù del principio di sussidiarietà di cui all’art. 34 del rito speciale.
In altre parole, il “sistema 231” deve essere integrato dalle disposizioni del codice di rito penale qualora non vi sia una norma speciale che disciplina l’atto da compiersi nei confronti dell’ente e sempre che sussista compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale.
Proprio su questo tema si è accentrata l’attenzione della Corte, a fronte della doglianza dell’ente di aver ricevuto – dopo la conclusione delle indagini preliminari – la richiesta di rinvio a giudizio senza che questa fosse stata preceduta dall’invito a presentarsi avanti l’inquirente per rendere l’interrogatorio tempestivamente richiesto, con conseguente nullità dell’atto (art. 416 comma 1 c.p.p.).
Il punto è, quindi, se questa specifica normativa del rito penale, non espressamente replicata nel DLgs. n. 231/2001, debba applicarsi anche al procedimento nei confronti dell’ente.
Nel caso di specie, per la Corte si è di fronte a una evidente compatibilità tra i due sistemi, sia perché l’art. 59 del DLgs. n. 231/2001 prevede che la contestazione dell’illecito amministrativo sia contenuta in uno degli atti indicati dall’art. 405 comma 1 c.p.p., ivi compresa quindi la richiesta di rinvio a giudizio (artt. 416-417 c.p.p.), sia perché anche il sistema di accertamento dell’illecito amministrativo deve fondarsi sulla garanzia del diritto di difesa, principio costituzionale sotteso alle disposizioni del rito penale, espressamente richiamate in chiave integratrice dall’art. 34 del DLgs. n 231/2001.
Dall’acclarata nullità della richiesta di rinvio a giudizio dell’ente è conseguito, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata anche con riferimento alla posizione della persona giuridica.