Revoca legittima se manca la correlazione temporale tra la data di acquisto dei beni e la manifestazione della pericolosità sociale del soggetto

Di Maria Francesca ARTUSI

La confisca di prevenzione è prevista dal DLgs. 159/2011 – di recente modificato dalla L. 161/2017 – con lo scopo di prevenire le diverse forme di criminalità da profitto, con particolare riguardo alla criminalità mafiosa, economica e connessa alla corruzione.
Il presupposto soggettivo per l’applicazione di tale misura non è la prova di un reato di cui il soggetto è ritenuto responsabile, bensì il riconoscimento – su base indiziaria – di una pericolosità socialeparticolarmente qualificata, intesa come probabilità di commissione di ulteriori reati.

Il nucleo del provvedimento patrimoniale non risiede nel delitto o nel relativo provento, né in finalità tipicamente repressive (si pensi ai principi ribaditi dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens ed altri c. Italia del 4 marzo 2014), ma nelle qualità del soggetto, ritenuto “pericoloso” sulla base di oggettivi elementi sintomatici, e nelle modalità di acquisizione del bene, anch’esse “pericolose” perché “plausibilmente” avulse da un contesto di liceità.

Di recente, tra l’altro, la Corte EDU (con la sentenza De Tommaso del 23 febbraio 2017) è tornata in modo molto rigoroso sul tema delle misure di prevenzione personali fondate sulle fattispecie di pericolosità “generica” di cui all’art. 1 del citato DLgs. 159/2011, dichiarando tale disciplina incompatibile, in particolare, con la libertà di circolazione, riconosciuta dall’art. 2 Prot. 4 della CEDU.

L’attualità della pericolosità va, dunque, intesa come prognosi di reiterazione futura di condotte illecite, alla luce della recente e prolungata attività delittuosa. Anche le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute a precisare che la pericolosità sociale, oltre a essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia acquisitiva (Cass. SS.UU. n. 4880/2015).
Nell’ipotesi in cui la pericolosità investa, come accade ordinariamente, l’intero percorso esistenziale del proposto e ricorrano i requisiti di legge, è pienamente legittima l’apprensione di tutte le componenti patrimoniali e utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso.

Resta, tuttavia, salva la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali. Con l’imprescindibile corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, non deve rispondere, neppure in questo caso, ai rigorosi canoni probatori del giudizio petitorio, con il rischio di assurgere al rango di probatio diabolica, potendo anche affidarsi a mere allegazioni, ossia a riscontrabili prospettazioni di fatti e situazioni che rendano, ragionevolmente, ipotizzabile la legittima provenienza dei beni in contestazione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30974 depositata ieri, si interroga proprio sulle fonti di conoscenza del giudice e sui dati a cui costui debba fare riferimento per esprimere un giudiziovalutativo in relazione alla personalità del soggetto e prognostico in relazione al suo agire futuro.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che, se ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, i fatti sui quali deve basarsi il giudizio di pericolosità comune non possono essere fatti per i quali sia intervenuta una sentenza di assoluzione, è tuttavia consentito al giudice della prevenzione valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo a sentenza di condanna, in presenza di sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione (limite esterno alla punibilità del fatto) “lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti” (Cass. n. 31209/2015).

La sentenza in commento conferma il principio in base al quale l’unico limite all’autonomia del giudizio di prevenzione è quello della negazione in sede penale, con pronunce irrevocabili di determinati fatti: ciò in quanto la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e quindi di assumerlo come elemento iniziale del giudizio di pericolosità sociale.

Date queste premesse, i giudici di legittimità ritengono che, nel caso di specie, sia stata legittimamente disposta la revoca della misura di prevenzione patrimoniale relativamente ad alcuni immobili, sulla base della insussistenza della correlazione temporale tra la data di acquisto di tali immobili e la manifestazione della pericolosità sociale del proposto.