Dopo un lungo dialogo tra Corti la Consulta argina ogni possibile disapplicazione perché in contrasto col principio di determinatezza
Secondo la Corte Costituzionale la “regola Taricco” contrasta col principio di determinatezza in materia penale. Nelle motivazioni della pronuncia n. 115/2018, pubblicate ieri, i giudici costituzionali hanno ben enucleato le ragioni per cui non è possibile disapplicare la disciplina della prescrizione per le frodi gravi relative all’IVA (come già anticipato nel comunicato stampa del 10 aprile scorso).
La sentenza della Corte di giustizia relativa alla causa C-105/14 – nota come “sentenza Taricco” – aveva stabilito che il giudice nazionale dovesse disapplicare gli artt. 160 comma 3 e 161 comma 2 c.p. omettendo di dichiarare prescritti i reati e procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola che è stata tratta dall’art. 325 par. 1 del TFUE, quando il regime giuridico della prescrizione impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall’art. 325 par. 2 del TFUE (cosiddetto principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro.
Per far fronte a tale interpretazione dirompente rispetto al sistema italiano, la Corte costituzionale è stata invitata a pronunciarsi sui c.d. “controlimiti”, rispetto all’ordinamento europeo, a difesa dei principi costituzionali della legalità e della irretroattività della legge penale (cfr. Corte d’Appello di Milano del 18 settembre 2015 e Cass. n. 28346/2016).
Va, tuttavia, considerato che sono intervenute nel frattempo due ulteriori pronunce: la sentenza n. 24/2017della Consulta stessa, che ha sollecitato un nuovo chiarimento da parte della Corte di Giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE, in modo che tenesse conto dei principi della nostra Costituzione; un’ulteriore decisione della Corte Ue che ha recepito in parte le istanze dei giudici italiani (causa C-42/17).
Comprendendo il dubbio prospettato dalla Corte Costituzionale, la sentenza “Taricco bis” ha riconosciuto che l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
Come la Corte Costituzionale spiega in un nuovo comunicato stampa pubblicato unitamente alla sentenza in commento, la vicenda Taricco è un significativo e proficuo esempio di “dialogo tra Corti”.
In particolare, la nuova pronuncia della Corte di Lussemburgo opera su due piani connessi.
In primo luogo, provvede a chiarire che, in virtù del divieto di retroattività (in malam partem) della legge penale, la “regola Taricco” non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’8 settembre 2015.
In secondo luogo demanda alle autorità giudiziarie nazionali il compito di saggiare la compatibilità di tale disapplicazione con il principio di determinatezza in materia penale.
L’istituto della prescrizione, incidendo sulla punibilità della persona connesso al decorso del tempo, rientra, infatti, nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25comma 2 Cost., per cui non non sarebbe ammissibile il deficit di determinatezza portato dall’interpretazione della prima sentenza Taricco, perché il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo che gli consenta di applicare una regola sufficientemente definita. Né a un giudice nazionale può essere attribuito il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101 Cost.). La stessa nozione di “casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato” enunciata dalla Corte Ue appare ai giudici costituzionali “un enunciato generico, che, comportando un apprezzamento largamente opinabile, non è tale da soddisfare il principio di determinatezza della legge penale e in particolare da assicurare ai consociati una sua sicura percezione”.
La sentenza della Consulta conclude evidenziando l’inapplicabilità della “regola Taricco”, alla luce sia della Costituzione repubblicana, sia dello stesso diritto dell’Unione; da qui discende l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel presupposto che tale regola fosse invece applicabile.
Se, dunque, certamente tale disapplicazione non sarà prospettabile per tutti i fatti commessi prima dell’8 settembre 2015 (principio di irretroattività), d’altra parte, indipendentemente dalla collocazione temporale dei fatti, i giudici non potrebbero applicare la “regola Taricco”, perché in contrasto con il citato principio di determinatezza.