La Cassazione sottolinea come la richiesta sia da documentare debitamente nei giudizi ancora pendenti
Per godere in pendenza di un procedimento giudiziario della nuova definizione agevolata (o pagamento in misura ridotta) delle sanzioni amministrative comminate per violazioni della disciplina antiriciclaggio (exart. 68 del DLgs. 231/2007), l’interessato deve procedere mediante istanza da proporre al MEF che non presenta alcuna influenza nel procedimento stesso, se non in caso di accoglimento; con conseguente definizione della questione in sede amministrativa e susseguente cessazione della materia del contendere.
A precisarlo è la Cassazione, nella sentenza n. 12514, depositata ieri, e relativa a sanzioni comminate anni fa per violazioni ai limiti all’utilizzo di denaro contante.
Si ricorda, innanzitutto, che, fino all’entrata in vigore delle novità antiriciclaggio introdotte dal DLgs. 90/2017, modificativo del DLgs. 231/2007, anche per gli illeciti amministrativi in tale materia, l’adozione dei principi di legalità, irretroattività e divieto di analogia, di cui all’art. 1 della L. 689/1981, hanno comportato l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore eventualmente più favorevole (tra le altre, Cass. nn. 4642/2018 e 10178/2017, nonché, con specifico riferimento alle violazioni in materia di contanti, Cass. n. 25892/2017). Soluzione confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 193/2016, che ha sottolineato come nel nostro ordinamento non esista una regola generale che prevede l’applicazione della legge successiva, se più favorevole, agli autori di illeciti amministrativi).
Ai sensi del nuovo art. 69 comma 1 del DLgs. 231/2007, come inserito dall’art. 5 comma 2 del DLgs. 90/2017, nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni (4 luglio 2017) non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente al 4 luglio 2017, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta.
Si è provveduto, quindi, all’espressa estensione anche in tale contesto del c.d. principio del “favor rei”, con un puntuale riferimento all’istituto del pagamento in misura ridotta. Tale istituto è disciplinato dal nuovo art. 68 del DLgs. 231/2007, sostituito dall’art. 5 comma 2 del DLgs. 90/2017. È stabilito, in particolare, che, prima della scadenza del termine previsto per l’impugnazione del decreto che irroga la sanzione, il destinatario del decreto sanzionatorio può chiedere al MEF procedente il pagamento della sanzione in misura ridotta. La riduzione ammessa è pari a un terzo dell’entità della sanzione irrogata. L’applicazione della sanzione in misura ridotta non è ammessa qualora il destinatario del decreto sanzionatorio si sia già avvalso, nei cinque anni precedenti, della stessa facoltà.
Il MEF, nei 30 giorni successivi al ricevimento dell’istanza dall’interessato, notifica al richiedente il provvedimento di accoglimento o rigetto dell’istanza, indicando l’entità dell’importo dovuto e le modalità attraverso cui effettuare il pagamento. Il pagamento in misura ridotta è effettuato entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento di cui sopra. Fino a tale data, restano sospesi i termini per l’impugnazione del decreto sanzionatorio innanzi all’autorità giudiziaria. Il mancato rispetto del termine e delle modalità di pagamento indicati obbliga il destinatario del decreto sanzionatorio al pagamento per intero della sanzione originariamente irrogata dall’amministrazione.
Le disposizioni ricordate si applicano a tutti i decreti sanzionatori, già notificati agli interessati, non ancora divenuti definitivi alla data di entrata in vigore del nuovo art. 68. In particolare, come precisato dalla circ. Min. Economia e finanze 6 luglio 2017 n. DT54071, l’istituto in argomento si applica anche a tutti i decreti sanzionatori già emanati e notificati agli interessati, ma che alla data dell’entrata in vigore del DLgs. 90/2017 (4 luglio 2017) non erano ancora divenuti definitivi; e cioè nel caso in cui non era ancora spirato il termine per l’impugnazione giurisdizionale ovvero, per i provvedimenti già impugnati, quando il relativo giudizio non si fosse concluso con sentenza passata in giudicato.
La Suprema Corte sottolinea ora come tale facoltà di definizione amministrativa attenga alla fase del procedimento amministrativo, sicché anche per godere della definizione agevolata in pendenza di procedimento giudiziario, l’interessato deve procedere mediante istanza da proporre al MEF che non sviluppa alcuna influenza nel procedimento in corso, se non in caso di accoglimento, con conseguente definizione della questione in sede amministrativa e susseguente cessazione della materia del contendere. Nella specie, invece, la parte ricorrente non aveva né affermato né documentato di aver proposto tempestivamente l’istanza; sicché la questione non assumeva rilievo nel procedimento nonostante l’applicabilità della nuova norma anche al decreto sanzionatorio del caso di specie, non ancora divenuto definitivo ai sensi del ricordato art. 68 comma 5 del DLgs. 231/2007.