La manomissione del bene oggetto di locazione finanziaria comporta la distrazione dei diritti esercitabili dalla curatela al termine del contratto

Qualsiasi manomissione del bene pervenuto in leasing alla società fallita, tale da sottrarlo alla massa, integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in quanto condotta lesiva dei diritti della curatela e di pregiudizio per i creditori.
Il principio, già presente nella giurisprudenza di legittimità, è contenuto nella sentenza n. 21933 depositata ieri dalla Cassazione.

Si ricorda che il contratto di leasing (o locazione finanziaria) è il negozio atipico con il quale una parte, “concedente”, a fronte di un corrispettivo dato da un canone periodico, concede ad altra parte, “utilizzatore”, il godimento di un bene, con facoltà di restituirlo a un termine prefissato, ovvero di riscattarlo dietro corresponsione di una somma prefissata.

Non vi è dubbio, quindi, che la proprietà del bene in corso di contratto, residua in capo al concedente e il relativo trasferimento, solo eventuale, dipende dalla scelta dell’utilizzatore, in base a una valutazione della residua utilità economica della cosa a fronte dell’ammontare del prezzo di riscatto.

La conseguenza è che, in ipotesi di fallimento del soggetto utilizzatore, la manomissione del bene oggetto del leasing comporta la distrazione, non già del bene medesimo, ma dei diritti esercitabili dalla curatela al termine del contratto. Nel caso, invece, di cessione del contratto ad altro utilizzatore, il nocumento per la massa si integra solo quando può dirsi che la prosecuzione del rapporto da parte del curatore avrebbe indotto, in concreto, non un onere ma una risorsa economica positiva (Cass. n. 3612/2007).

Si potrebbe obiettare – e la giurisprudenza di legittimità si è espressa talora in questo senso (Cass. n. 13556/2015) – che “poiché nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano solo le cose che abbiano fatto ingresso nel patrimonio di quest’ultimo, non possono essere oggetto delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale i beni sui quali il fallito ha un possesso solo precario e il proprietario vanta un diritto alla restituzione, come nel caso di beni ricevuti in locazione, deposito o comodato”.

Tuttavia, per la sentenza in esame il punto centrale è un altro: la concreta acquisizione del bene da parte del soggetto fallito, individuabile anche in una “disponibilità di fatto”.

Infatti, “in tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in «leasing», ai fini della configurabilità del reato in capo all’utilizzatore poi fallito, è necessario che tali beni fossero nella sua effettiva disponibilità, in conseguenza dell’avvenuta consegna, e che di essi vi sia stata appropriazione, non rilevando la tipologia del contratto di «leasing» (traslativo o di godimento)” (Cass. n. 44898/2015).

In altre parole, il punto è se i beni oggetto del contratto di locazione finanziaria siano mai entrati, di fatto, nella sfera di disponibilità della società fallita, a seguito di consegna. La configurabilità del reato di bancarotta per distrazione postula, infatti, secondo tale orientamento, che i beni non rinvenuti in sede di inventario siano entrati realmente nella sfera patrimoniale della società fallita, così che possa ipotizzarsi quel distacco ingiustificato che integra sul piano oggettivo la fattispecie incriminatrice.

Il pregiudizio si verifica sia nel leasing traslativo che di godimento

Verificatosi il presupposto della disponibilità di fatto, la relativa appropriazione da parte del fallito integra la distrazione penalmente rilevante, in quanto la sottrazione (o la dissipazione) del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare, così privata del valore dello stesso – che avrebbe potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere economico conseguente all’inadempimento dell’obbligo di restituzione.
Ed il pregiudizio si verifica sia nell’ipotesi di leasing c.d. traslativo che in caso di leasing di godimento, anche se si pone con diversa entità nelle due tipologie negoziali.

Nel caso di specie, al fine di verificare la consumazione del reato fallimentare, quel che rileva, quindi, per la Corte è la disponibilità di fatto, in capo al soggetto utilizzatore, dei beni in leasing non rinvenuti in azienda, indipendentemente, nel caso concreto, dalle scelte del curatore di subentrare o meno nel contratto di leasing provvisoriamente sospeso ex art. 72 L. Fall.

Infatti, l’art. 72-quater comma 2 L. Fall. prevede espressamente che, in caso di scioglimento del contratto, il concedente a fronte della restituzione del bene è obbligato a corrispondere alla curatela la differenza tra la maggiore, eventuale, somma ricavata dalla vendita del bene, ovvero da altra allocazione dello stesso, a valori di mercato, rispetto al residuo credito in linea capitale vantato dal concedente per il mancato, eventuale, pagamento dei canoni di leasing.

Pertanto, la distrazione (o dissipazione), necessariamente dolosa, del bene in leasing da parte dell’utilizzatore non solo grava la curatela del costo economico derivante dall’inadempimento contrattuale dell’obbligo di restituzione ma la priva, altresì, di tale valore economico con integrazione del reato fallimentare.

In altre parole, l’art. 72-quater L. Fall. attribuisce all’utilizzatore un diritto soggettivo economicamente apprezzabile, componente del patrimonio dello stesso e, quindi, possibile oggetto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva per la consumata lesione dell’interesse alla garanzia patrimoniale dei creditori (art. 2740 c.c.).