La mancata conoscenza dello stato di insolvenza non deve dipendere da negligenza del danneggiato

In materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità della banca che finanzi un’impresa insolvente e ne ritardi, per tal via, il fallimento, nei confronti dei terzi che, in ragione di ciò, abbiano confidato nella sua solvibilità, continuando a intrattenere rapporti contrattuali con essa, allorché sia provato che i terzi stessi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a una loro colpa.
È questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 11695, depositata ieri. Il tema è quello dell’autoresponsabilità del terzo danneggiato che, in ragione della condotta tenuta dalla banca che eroghi un finanziamento, sia persuaso a fare affidamento sulla solvibilità dell’impresa che lo riceva.

Innanzitutto, evidenzia la Suprema Corte, in presenza della condotta di una banca che continui a finanziare un’impresa insolvente, invece di “avviarla al fallimento”, non può non considerarsi come, così facendo, la banca offra a coloro che operano sul mercato una sensazione distorta. Questi, infatti, risultano ingannati circa la reale situazione dell’impresa finanziata e sono indotti a continuare a trattare con essa, come se fosse un’impresa sana.
Con la conseguenza che il suo fallimento viene artificiosamente ritardato con grave pregiudizio per la posizione di tutti i creditori: sia di quelli anteriori al fallimento tardivo, perché finiscono per dover concorrere con altri creditori, riuscendo a recuperare una somma inferiore a quella che avrebbero riscosso se il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente; sia dei creditori posteriori, perché, a loro volta, non avrebbero deciso di intraprendere rapporti con l’impresa indebitamente finanziata, se questa fosse tempestivamente fallita.

Ad ogni modo, il fatto che l’abusiva concessione di credito mostri i propri effetti in relazione al mercato deve indurre a un’ulteriore osservazione. Osservazione che si sviluppa alla luce del rilievo che il mercato presenta comunque una dimensione puramente relazionale, nel senso che le relazioni economiche e commerciali non solo si svolgono nel mercato, ma, allo stesso tempo, lo realizzano. Nel momento in cui un operatore economico viene a esercitare la sua attività sul mercato diviene artefice del mercato stesso e, come tale, è richiamato al dovere di autoresponsabilità anche dal punto di vista della misura in cui possano risultare giustificate le sue pretese risarcitorie.
Ne consegue che l’agire negligente e noncurante delle insidie comunque presenti nelle operazioni economiche e nelle relazioni commerciali si pone in contrasto con il dovere di autoresponsabilità e impedisce di riconoscere come meritevole di tutela l’incauto affidamento riposto sulla bontà dell’operazione.

Questi profili, d’altra parte, sono stati nel tempo debitamente presi in considerazione dalla giurisprudenza di legittimità che è intervenuta sul tema della tutela dell’affidamento incolpevole. E infatti, pur pervenendosi a un esteso riconoscimento di tale principio, quale espressione di quelli solidaristici riconosciuti dall’art. 2 Cost., se ne è sempre condizionata l’opponibilità alla circostanza che l’affidamento sia appunto incolpevole, escludendosi la possibilità di considerare tale quello causato da uno stato di ignoranza superabile con l’uso della normale diligenza.

Così, ad esempio, al di là del tema dell’“apparenza del diritto”, non si è esclusa, in linea di principio, la responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c. nel caso di bilancio contenente indicazioni non veritiere che abbiano condotto all’affidamento incolpevole del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e alla sua decisione di contrattare con essa (Cass. n. 17794/2015). Ovvero, ancora, nel caso del promotore finanziario non legato da un rapporto contrattuale con la banca, si è ritenuta sussistente la responsabilità indiretta di quest’ultima se la “promozione” è svolta con modalità tali da ingenerare negli investitori l’incolpevole affidamento su uno stabile inserimento del promotore nell’attività della banca (Cass. n. 18928/2017).

Analogamente, ma con esiti contrari, poi, si è esclusa la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione in relazione al diniego dell’approvazione ministeriale del contratto prevista dagli artt. 19del RD n. 2440/1923 e 337 della L. n. 2248/1865, qualora la mancata approvazione derivi dalla violazione di norme di carattere generale di cui può presumersi la conoscenza e la cui ignoranza avrebbe potuto essere superata attraverso l’uso della normale diligenza, non essendo in tal caso configurabile un affidamento incolpevole del privato (Cass. n. 11135/2009).

In conclusione – osserva la decisione in commento – può dirsi che sia un principio già presente nel diritto vivente che connota la tutela risarcitoria in materia di affidamento quello che, intanto si possa affermare la responsabilità del soggetto a cui si imputa il fatto illecito fonte di pregiudizio, in quanto l’affidamento che il danneggiato riponga nella condotta altrui sia privo di colpa, non potendo l’ordinamento tutelare le ragioni di chi abbia subito danni anche per effetto della propria negligenza.